Posts written by Leggende Miti Misteri

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    Monastero di Torba e Le Monache senza volto



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    Sono otto le monache immortalate nel monastero di Torba, affrescate frontalmente e accompagnate da otto sante, forse le protettrici delle stesse monache, o le loro anime rappresentate nella visione celeste. C'è però un particolare che balza immediatamente all'occhio: tre di loro sono senza volto.
    perchè questa anomalia? Molte le ipotesi, tra cui la forte umidità come possibile responsabile della scomparsa dei lineamenti: negli affreschi, occhi, bocca e naso venivano solitamente dipinti sopra l'ovale del volto, mantenendo una presa debole.

    Eppure un fatto non torna: come mai i volti delle altre donne non sono scomparsi? Le tre monache "senza identità" hanno volti di un rosa perfetto, privo di qualsiasi traccia, come se nulla fosse mai stato disegnato sopra, come se effettivamente fossero sempre state senza viso.
    Un'anomalia spiegata con un'oscura leggenda: sembra che mentre veniva realizzato l'affresco, tre monache si allontanarono dal monastero, lasciando così incompleti i ritratti, nell'attesa di essere finiti con l'arrivo di nuove monache, cosa però che non accadde mai, perchè il luogo fu abbandonato a causa dei troppi pericoli.

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    Erano donne sole e isolate, con l'unica difesa delle preghiere contro i malintenzionati che uscivano dall'oscurità del bosco per aggredirle. Forse la sorte delle tre monache che furono viste sparire tra gli alberi, senza mai fare ritorno, fu proprio questa, anche se i corpi non vennero mai ritrovati. Ancora oggi si dice che i loro spiriti stiano continuando a vagare per i fitti boschi di Torba, nel tentativo di rientrare nel dipinto.

    Il giorno in cui ci riusciranno, i lineamenti appariranno e ritroveranno l'identità perduta.Ricordando chi sono, potranno finalmente accedere al Paradiso. Quando ciò accadrà...noi lo sapremo perchè lo vedremo con i nostri occhi. E' comunque possibile che i loro spiriti siano tenuti prigionieri da qualche entità malvagia dei boschi: non siamo distanti da Golasecca, luogo dei famigerati rituali delle Bestie di Satana, e forse non è un caso che all'interno della chiesa di Santa Maria di Torba, che fa parte dello stesso complesso, sia stata dipinta una figura mefistofelica, vicino a una pietra sacrificale adagiata all'interno della cripta.

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    Ciò che sorprende è la grande somiglianza delle monache con i "noppera-bò", gli spiriti senza faccia giapponesi, fantasmi innocui, la cui unica arma sarebbe la paura. Si presentano mostrando tratti somatici rassicuranti, per poi cambiarli con il vero viso, vuoto, capace di terrorizzare molto più di un volto mostruoso. Lo stesso accade per queste monache: nonostante siano prive di occhi, sembra che ci osservino con sguardo muto di cui non possiamo capire l'intenzione. E allora preferiamo allontanarci, nella speranza che un giorno ritrovino l'agognata pace.

    Fonte editoriale: Mistero
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    Villa De Vecchi, La casa stregata




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    Questa inquietante villa è stata ufficialmente posta tra le sette case più stregate al mondo (da Buzzfeed, blog di fama mondiale), una scelta che non sorprende affatto. E' conosciuta con il nome di "casa rossa" per il colore sinistro (anche se oggi è ormai totalmente ricoperta dalla vegetazione), oltre che per la triste fama di posto in cui hanno dimorato streghe e fantasmi, e hanno avuto luogo messe nere.
    Dall'aspetto surreale, Villa de Vecchi appare nella sua scenografica figura visibile ma allo stesso tempo nascosta, come se non fosse parte di questo mondo. Fu voluta a metà Ottocento dal conte Felice De Vecchi, un uomo con grande passione per l'Oriente che lo portò ad arredare l'interno con diversi oggetti comprati nei suoi in tutto il mondo. La villa ormai in rovina è ricca di suggestive leggende, episodi e presenze, confermate da sensitivi e medium che l'hanno visitata, Sembra essere abitata dallo spirito dell'amante di Flice, una donna i cui pianti riecheggiano nella notte.
    Lamenti accompagnati dal suono di un pianoforte, che suonerebbe da solo, cosa impossibile data la sua inutilizzabilità. Un'altra leggenda parla dell'assassinio della moglie, smentita dagli eredi del custode. Un altro fatto riguarda riti satanici che secondo le cronache sarebbero avvenuti dal 1920 sotto la guida di Aleister Crowley, che vi avrebbe soggiornato per alcune notti. Sembra che siano avvenuti veri e propri delitti durante i riti orgiastici organizzati dai suoi seguaci.


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    Cartolina del periodo che ritrae gli antichi splendori della villa



    Sicuramente il conte De Vecchi non ha scelto questo luogo a caso: nelle zone di Cortenova (il cui simbolo è una ruota dentata che ricorda le torture inquisitorie) si instaurò il Cristianesimo delle persecuzioni: qui molti nobili cristiani fuggirono e si nascosero, fino alla liberalizzazione della religione. Percependo l'energia delle orobie, in molti rimasero qui.
    L'evoluzione del cristianesimo primordiale sfociò in ciò che conosciamo come il risultato più infausto, l'inquisizione, che stranamente ebbe un tribunale anche in questi luoghi apparentemente "tranquilli". Sicuramente venivano cercati gli eretici che si rifugiavano tra i monti ricchi di energia, colmi di acqua cristallina, incorrotta come "oro", un oro potabile magico e immortale.
    Acqua curativa e benefica, elisir delle vicinissime terme di Tartavalle, anch'esse abbandonate e che avrebbero dato origine alla storia dell'omonima strega. Acqua che zampillava da una fontana al centro del parco della villa, oggi misteriosamente scomparsa. Dopotutto ci troviamo ai piedi delle Prealpi Orobiche, il cui nome deriva da "oro" e "bio", vita. Un termine che indica qualcosa di vivo e palpitante, un'energia tellurica in grado di far vivere spettri e entità, i quali sono felici di soggiornare in una casa così evocativa. Come biasimarli?


    Fonte Editoriale: Mistero
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    Annie Palmer, la donna più crudele della storia



    Una villa in Giamaica, inquietanti presenze, una leggenda terribile, un soprannome spaventoso: La Strega Bianca di Rose Hall

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    E' passata circa una settimana dal mio rientro, ma il ricordo del mare e il rumore delle onde sugli scogli è ancora "vivo" nella mia mente; quasi mi sembra di essere ancora sdraiato sul bagnasciuga. Mentre cerco informazioni per un nuovo articolo, mi domando: "Su che cosa posso scrivere questa volta?". Risposta: " La storia deve provenire da un luogo insospettabile!".
    Le mie ricerche stanno dando esiti negativi; le sole storie che riesco a trovare sono nei soliti posti come l'America e il Regno Unito. E si tratta di vicende che la gente conosce già, trite e ritrite, e che ormai è magari anche stanca di leggere e sentire. Poi, un colpo di fortuna: proprio in quel momento alla radio trasmette una canzone di Johnny Cash intitolata "Ballad of Annie palmer".
    La prima strofa recita così: "One time I was down to Jamaica to a Place called Rose Hall Plantation. They grow a lot of sugarcane and tomatoes and things..." (Una volta mi trovavo in Giamaica in un logo chiamato Rose Hall Plantation. Coltivavano canne da zucchero, pomodori e altre cose..."; ed ecco finalmente la soluzione: la Giamaica. In questa bellissima e soleggiata isola sorge una cittadina che prende il nome di Montego Bay, nella contea di Cornwall, dove nel 1982 venne siglata dall'ONU la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.

    E' la quarta città più popolosa della Giamaica. Tra palme, posti incantevoli e spiagge bianche cotte dal sole, si erge un edificio con una piantagione molto vasta: la Rose Hall Plantation, struttura che i locali chiamano anche Grande Casa. Il luogo, pur essendo inserito in un contesto di vita spensierata dove certamente le persone sono ben lungi dal riflettere sui misteri, ha un'immensa estensione che nasconde storie, leggende, intrighi...e soprattutto qualche spettro.
    La magione, in stile georgiano-giamaicano ed eretta su una collina nel diciottesimo secolo, ha una vista panoramica sulla costa. Alla morte del proprietario, la piantagione passò nelle mani del pronipote John Rose palmer, sposato con Annie; i due nuovi proprietari avevano a disposizione duemila schiavi. Alcuni erano occupati all'interno della casa, mentre altri lavoravano nelle piantagioni.
    Ma chi era Annie? La signora Palmer non era esattamente una persona di buon cuore. In quel periodo l'unico modo per una donna di raggiungere il potere e la ricchezza era quello di sposare un potente, e questo Annie lo sapeva. Nata in Francia, era una piccola donna alta poco più di un metro e venti. Fin dalla più tenera età, era stata accudita da una tata haitiana, che le fece da tutrice quando i genitori morirono di febbre gialla. Una volta raggiunti i diciotto anni, si trasferì in Giamaica, dove ad attenderla c'era il suo promesso sposo John Rose Palmer.

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    Dei suoi primi anni come moglie di John si conosce ben poco; non si sa se fosse già crudele da prima, o se avesse covato la sua cattiveria all'interno della piantagione perchè lui la trattava come una schiava con continue pretese e richieste. La donna passò dalle luci e dalla mondanità di Parigi alla vita semplice e problematica in un'isola, fatta di quotidiane difficoltà. Qualunque fosse la causa di questa sua crudeltà, era comunque una donna temuta da tutti gli schiavi che lavoravano all'interno della piantagione.
    La magione era comandata con il pugno di ferro, e chiunque disobbedisse agli ordini veniva punito con frustate, oppure torturato, o rinchiuso nei sotterranei, oppure ancora condannato a morte. Le punizioni e le esecuzioni venivano lette pubblicamente, davanti a tutti gli altri schiavi, alla mattina insieme agli ordini del giorno. Prima di questa strana consuetudine, la Palmer era solita fare una passeggiata sul balcone.
    Con il passare degli anni, la Strega Bianca di Rose Hall, così verrà chiamata in seguito, forse vinta dalla noia o dal puro piacere, decise di intrattenersi con gli schiavi. Una volta stanca del suo amante, lo faceva assassinare e seppellire in una tomba anonima, cosa che accadde anche al marito, del quale si conosce ben poco. Il motivo della sua uccisione è difficile da individuare forse Annie si era stancata anche di lui, o forse John aveva interferito con la vita della moglie. Non dimentichiamoci che questi erano tempi in cui la legge latitava, e la morte del padrone era all'ordine del giorno. Nel corso degli anni, con una certa noncuranza la Palmer aveva esasperato la sua immagine di donna dura e spietata in parte anche per non apparire una facile preda.


    Dopo la morte del marito, Annie cercò di vivere come una signora indipendente, continuando a coltivare la sua passione verso il voodoo, aiutata anche dagli schiavi che per tenersela buona, di tanto in tanto, le davano qualche insegnamento in proposito. L'arte del voodoo secondo gli schiavi comprendeva il sacrificio umano, specialmente quello dei fanciulli, le cui ossa servivano per riti di magia nera. Presto la fama della Strega Bianca si diffuse per tutti i Caraibi. Non contenta di aver ereditato una piantagione, Annie trovò il tempo di sposare altri due uomini, dai quali ottenne anche gli averi. Probabilmente questi due uomini erano stranieri e non erano a conoscenza della sinistea fama della Palmer.
    Vi sembrerà strano, ma la politica degli amanti "usa e getta" di questa Signora Omicidi non è ancora finita. Purtroppo i suoi occhi caddero su un giovane schiavo già promesso sposo alla figlia del sovraintendente della casa. Una sera la donna decise di invitare lo schiavo da lei per poter "rallegrare" la serata. Il sovraintendente, nonchè padre della futura sposa del giovane schiavo e sacerdote voodoo, venuto a sapere della cosa fece alcuni riti per proteggere il giovane, che però non servirono a molto. Infatti quella sera Annie usò una "politica" diversa: invece di "giocare" con lo schiavo per una settimana come era solita fare, decise di ucciderlo subito. Magari la cosa era degenerata in seguito alle sue resistenze alle avances della padrona, o forse aveva dichiarato il suo amore verso l'altra donna; fatto sta che fu giustiziato sul posto!


    Una volta venuto a conoscenza del fatto, il sovraintendente si infuriò, e decise che Annie doveva morire. Preparò allora una tomba in legno all'interno della casa, seguendo all'interno della casa, seguendo un rituale voodoo, e diede vita a un duello magico, riuscendo a uccidere la Strega Bianca ma sacrificando però la sua stessa vita. Gli schiavi vennero istruiti su che cosa fare con il corpo di Annie, che venne seppellito in una tomba speciale. Ma che cosa aveva di speciale questa tomba di legno? Serviva a contenere lo spirito e a impedire che vagasse per la piantagione. Qualcosa però andò storto e gli schiavi non riuscirono a completare correttamente il rituale, e così da allora lo spirito della Strega Bianca vaga per i corridoi della Rose Hall.
    A infestare la piantagione non sarebbe solo lo spirito di Annie, ma anche quelli degli schiavi uccisi dalla stessa proprietaria, vestita di un abito verde in velluto, in groppa a un cavallo nero e con la frusta in mano. Ci sono anche altre storie legate ai sotterranei, dove si sentono passi provenire dalla scala; alcuni dicono di udire grida di bambini forse uccisi dalla Palmer, e di tanto in tanto si può ascoltare anche una strana musica. I fantasmi che abiterebbero questa dim ora, a detta di molti sembrano avere una vera e propria passione per l'elettricità: spengono e accendono le luci.
    Con il passare del tempo, la Rose Hall era caduta in rovina, fino a quando i proprietari del Ritz-Carlton Hotel la acquistarono e la ristrutturarono, riportandola all'antico splendore. Malgrado l'edificio sia rimasto abbandonato per anni, non ha mai subito atti di vandalismo, mantenendo così intatta la fama di luogo infestato. Come di consueto, con la ristrutturazione dell'edificio cominciarono i racconti di fenomeni paranormali. Gli operai che lavoravano alla ristrutturazione della casa trovavano gli attrezzi spostati da una parte all'altra, mentre altri oggetti venivano addirittura nascosti, salvo poi riapparire dove erano stati lasciati o spostati in posti del tutto inaccessibili.


    Altri operai dicevano di essersi sentiti chiamare per nome, scoprendo poi di essere soli oppure molto distanti da altre persone; dulcis in fundo, i pavimenti nuovi vennero trovati macchiati il giorno dopo la posa. Oggi pochi oggetti nella tenuta sono originali, ad eccezione di alcuni dipinti e di uno specchio. E' proprio lo specchio ad avere una fama sinistra; molti turisti che hanno visitato la magione riportano che nelle fotografie dove era presente lo specchio, oltre al riflesso di colui che ha fatto la foto appare un'altra figura.
    Molte di queste fotografie vengono inviate alla direzione della Rose Hall, che controlla la veridicità dello scatto poichè, a volte, subentrano i segni di usura che intaccano la superficie ingannando il fotografo, che alla fine rischia di prendere lucciole per lanterne. La nostra mente è "programmata" per trovare forme conosciute anche in un semplice specchio rovinato dal tempo: è il famoso fenomeno della pareidolia. Comunque sia, questa che vi ho raccontato è la storia che viene tramandata, ma un'indagine portata avanti nel 2007 dallo scrittore Benjamin Radford ne ha scritto i contorni. Radford ha stabilito che la storia di Annie venne elaborata sul modello di un romanzo giamaicano, scritto da Herbert George de Lisser, dal titolo "La strega bianca di Rosehall", pubblicato nel 1929. Ma la leggenda oscura di Annie Palmer continua ad appassionare e attirare migliaia di visitatori ancor oggi; e il mistero continua...

    Testo a cura di: Daniele Pirola
    Fonte editoriale: Mistero
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    E' il fantasma di un Egiziana catturata in una foto nel Devon?



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    Gli investigatori paranormali dalla cittadina del Devon hanno condiviso quello che affermano sia l'immagine più chiara che abbiano mai visto di una donna spettrale - catturata durante il trascorrere la notte in un museo nel Devon.
    Il team di specialisti di Silent Voices GhostHunts - affermano di essere il numero uno delle squadrae degli eventi paranormali nel paese - hanno catturato l'immagine spettrale, nel corso di una notte a Torquay Museum, che ospita i resti mummificati di un bambino egiziano.
    Il team dice che ci sono state una serie di segnalazioni e di apparizioni nel museo, anche se nessuna descrizione corrisponde a quello che hanno catturato dalla macchina fotografica, e credono che l'immagine potrebbe essere di una donna egiziana - sembra avere la testa rasata oppure completamente calva.
    Jay Dalley da Silent Voices ha detto: "L'immagine è stata presa a Torquay Museum di Ryan Doyle nella nostra squadra ed è stato analizzata in modo digitale e catalogata come autentica. L'immagine più chiara che abbiamo mai visto ed ha causato scalpore attraverso la nostra pagina Facebook e. in rete dove l'abbiamo postata."
    "I tratti del viso sono molto chiari ed è da notare l'abbigliamento in basso a destra. Questa figura non era visibile ad occhio nudo!"
    La foto è stata catturata durante un evento in corso durante una visita al museo, quando Ryan ha deciso di vagare per conto suo e scattare qualche foto.
    L'apparizione non era visibile ad occhio nudo, ma si presentò il giorno dopo, quando Ryan e la squadra hanno rivisto le immagini scattate con una fotocamera full-spectrum. La fotocamera cattura lunghezze d'onda visibili e non e l'immagine è stata analizzata per escludere eventuali difetti o manomissioni intenzionali.
    Jay ha detto: "Ha fatto un sacco di foto e non ha visto questa immagine fino al giorno successivo, quando lui le stava di nuovo esaminando."

    Fonte: devonlive.com
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    LA BAMBOLA DI BLACK DAHLIA



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    Questo è un articolo che non dovrebbe esistere e per un motivo molto semplice: la vicenda l'ho presa dal sito reddit tempo fa e se ora ve la riporto è solo perché al tempo avevo fatto uno screen per stamparla e leggerla con comodo fuori casa. Quando sono tornato a cercare la notizia il link non esisteva più e la discussione era stata cancellata.
    Beh, non è che ci fosse scritto un segreto di stato, ma una semplice esperienza personale di un uomo che raccontava la sua impressione su una possibile "bambola posseduta". Prima che vi racconti la vicenda lasciate che vi dica che mi sono documentato, anche perchè la bambola in questione non è una qualsiasi, ma di ciò che vi sto per raccontare non esiste più alcuna traccia e non potendo darvi riferimenti precisi (perché l'utente era anonimo), la prenderemo per una leggenda metropolitana.
    Tutto il racconto dell'uomo che scrisse su reddit è incentrato sulla bambola di Black Dahlia. Vi dice qualcosa questo nome? Tempo fa scrissi un articolo su questa ragazza (che vi invito a consultare se amate il macabro), ma qui lo riporto in poche righe.
    Elizabeth Ann Short era una ragazza di famiglia povera che sognava, come tante, di sfondare e diventare una diva di Hollywood. Ad Hollywood ci arrivò pure, ma fu presa solo a fare film porno e spesso fu costretta ad "intrattenere" uomini potenti, famosi o molto influenti. Assunse il soprannome di Black Dahlia perché amava vestirsi di nero e adorava il film "La dalia azzurra". Elizabeth Short purtroppo passò alla storia per essere stata vittima di uno dei più agghiaccianti omicidi mai avvenuti negli USA, le cui fotografie sono ancora consultabili sul web e fanno venire la pelle d'oca anche ai meno impressionabili: Balck Dahlia venne trovata in un campo di un quartiere meridionale di Los Angeles, nuda e squarciata in due parti all'altezza della vita, mutilata e con vistosi segni di tortura; il volto era stato mutilato da un profondo taglio da un orecchio all'altro e dall'interno di una coscia era stata asportata una grossa porzione di carne. Credo di aver reso l'idea… Il suo assassino non venne mai trovato, ma quelle immagini hanno scioccato il mondo intero e sinceramente mai avrei pensato che avrebbero creato una bambola a sua somiglianza (eh sì, la bambola ha tagli lungo la bocca e sul ventre cuciti ed esaltati da anelli metallici).
    Bene, a parte il fatto del cattivo gusto, c'è da dire che la bambola sembra avere ancora molto successo e fa parte di una collezione a dir poco inquietante: oggi le "Living Dead Dolls" sono un fenomeno mondiale e sono bambole da collezione a tema horror ideate dalla ditta omonima del New Jersey che sin dal 1998 è cresciuta in modo inarrestabile creando diverse bambole di personaggi di film horror, di assassini e cadaveri famosi.
    Ok, ho dovuto fare un'introduzione più lunga del solito, ma era necessario. Veniamo alla vicenda. La fonte anonima da cui ho preso questa storia affermava che sia lui che sua moglie sono appassionati di oggetti a tema horror e macabro e quando venero a sapere dell'esistenza della bambola di Black Dahlia vollero subito acquistarne una copia. Purtroppo per loro la serie di cui faceva parte non era più in commercio (venne poi rifatta successivamente), ma online sono riusciti a contattare una persona che voleva disfarsene perché la trovava raccapricciante.
    L'uomo affermava di vivere a Los Angeles e non molto lontano da Leimert Park (dove venne trovato il corpo a pezzi di Elizabeth Short). Sia lui che sua moglie furono entusiasti del loro acquisto, ma più di lui la moglie sembrava averne un'adorazione. Il fine artigianato, i dettagli realistici, un vestito cucito a mano, capelli di seta e delicati sembravano infondere al viso della bambola uno sguardo incredibilmente "reale".
    Per diverse settimane sua moglie si comportò in maniera molto strana, quasi ossessiva nei confronti della bambola: la mise su una mensola nella loro camera da letto e non perdeva occasione per andare ad osservarla, quasi ipnotizzata da quel fantoccio. Alcune notti volle addirittura tenerla con se nel letto e la cosa iniziò a dare fastidio all'uomo, che però fino a quel momento preferì soprassedere.
    Poi qualcosa è cambiato: così come ne era rimasta rapita all'inizio, la donna iniziò a diventare nervosa alla presenza della bambola e volle spostarla sopra un alto scaffale in salotto. Quel cambiamento nel suo stato d'animo preoccupò l'uomo che le chiese il motivo del suo comportamento: la donna gli diceva che non era nulla, che forse era stressata perchè non riuscivano a concepire un bambino, ma poi nei giorni a seguire ammise che la bambola iniziava a farle paura e che a lei sembrava che la fissasse quando lei si avvicinava.
    Uno giorno, quando lui tornò dal lavoro, trovò sua moglie seduta sul divano che piangeva singhiozzando e quando gliene chiese il motivo lei gli disse che era convinta che gli occhi della bambola di Black Dahlia si potessero muovere.
    La cosa gli parve subito assurda, ma preferì confortarla e rassicurarla; quando lei si calmò, sebbene molto scettico, prese la bambola dallo scaffale e la esaminò attentamente. La rigirò tra le mani alla ricerca di qualche dispositivo che confermassero le parole della moglie, ma era una bambola molto semplice e non aveva meccanismi o dispositivi che potessero muoverne delle parti; la tolse dalla scatola da collezione di cui faceva parte e guadò negli occhi assenti del fantoccio: niente di più che belle sfere di vetro.
    Stava per rimetterla sullo scaffale quando un piccolo movimento attirò la sua attenzione. Gli occhi, gli occhi si erano mossi!
    La osservò da più da vicino e fissò profondamente in quei grandi occhi azzurri: questa volta vide chiaramente il movimento delle sfere, un piccolo movimento, ma molto chiaro.
    Ma non era un movimento normale: sembrava più che qualcosa sotto le sfere di vetro spingesse e si muovesse. Si sforzò di osservare la bambola più da vicino e fu allora che dall'occhio spuntò fuori una larva bianca. Inorridito, l'uomo lasciò cadere la bambola e cercò di scrollarsi la larva di dosso; la bambola cadde a terra e incredibilmente si ruppe in due parti: là dove il corpo di Black Dahlia era stato tranciato a metà, la bambola aveva una cucitura e si spezzò in due. Ma non fu solo questo a spaventare l'uomo: le parti della bambola assunsero la stessa posa del corpo fotografato di Elizabeth Short e decine di larve guizzanti si sparsero sul pavimento. Quell'immagine turbò sia lui che la moglie e l'uomo raccolse i resti della bambola per bruciarli nel suo giardino il giorno stesso.
    Il post dell'uomo terminava con un'affermazione: era sicuro che quella bambola fosse posseduta in qualche modo dallo spirito di Elizabeth Short e in fondo l'ultima frase che scrisse fu più o meno questa:
    «Non mi risulta che sia stato mai dichiarato alla stampa, ma sono certo che quando venne trovato il corpo di Black Dahlia era già diventato cibo per i vermi!»

    Approfondimenti: Per conoscere la storia della Black Dahlia cliccare sul seguente link: https://leggendemitimisteri.forumfree.it/?t=68990577

    Fonte facebook: Misteri dal Mondo - Credere Per Vedere
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    LA TAVOLA OUIJA E IL CASO CAÑITAS



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    Sembra strano, ma rispetto a soli 20 anni fa i divertimenti sono molto cambiati e oggi ci si annoia molto più facilmente, sebbene le distrazioni siano infinitamente maggiori. Quelle attuali spesso sono attività pericolose, ma la curiosità e un pizzico di incoscienza spinge i giovani (ma anche gli adulti) a provare cose che noi alla loro età temevamo.
    Ora ci si può credere o meno, ma anche la tavola Ouija è compresa nei "giochi pericolosi", sebbene tutto ciò che bisogna fare è sedersi attorno ad un tavolo ed evocare spiriti, normalmente a caso. Credete che sia solo un passatempo innocuo? Io in realtà no, ma credo che servano le condizioni giuste per poterla "attivare", un po' come nel caso che sto per proporvi.
    Era una notte del maggio del 1982 e a Città del Messico Padre Thomas dormiva già da diverse ore. All'improvviso il telefono del vecchio parroco squillò e a nulla valsero i suoi tentativi di ignorare la chiamata. Il suo sonno era compromesso e così decise di rispondere al telefono, quanto meno per richiamare il disturbatore e dirgli che non si deve telefonare alla gente anziana a tarda notte.
    Dall'altra parte delle cornetta una voce isterica lo chiamava a gran voce e il curato iniziò a temere che fosse successo qualcosa di molto grave. Era un giovane nervoso e terrorizzato che lo pregò quasi piangendo di correre a casa sua, sita in via Cañitas 51 nel quartiere di Popotla.
    Ci volle molta, molta pazienza, ma alla fine il ragazzo si identificò: si chiamava Carlos Trejo e affermava che "qualcosa di male" si trovava in casa sua. Il pastore si alzò, ma disse al ragazzo che lo aspettava di mettere davanti casa una Bibbia aperta e di attenderlo mentre si vestiva e andava da lui.
    Che cosa successe in quella casa? Beh, lo descrisse lo stesso Carlos in un libro diverso tempo dopo (cosa che ha fatto dubitare molti scettici che quella storia fosse vera). Prima di iniziare lasciate che vi dica che, saranno anche coincidenze, ma ben 14 persone legate a Carlos Trejo o a ciò che successe quella sera sono già morte, 14 come il numero indicatogli da una sensitiva che visitò Carlos e la casa per capire cosa ci fosse al suo interno.
    Ma andiamo con ordine. Carlos quella sera invitò a casa un po' di amici per guardare qualcosa in TV, bere qualche birra e impegnare la serata. Tutto andava bene finchè Carlos non tirò fuori da sotto il letto una tavola Ouija e propose agli amici di divertirsi un po' ad utilizzarla. La sorella di Carlos, Norma Trejo, credeva di aver che il suo ex ragazzo fosse morto in un incidente stradale (in realtà non era così perché il ragazzo era vivo, voleva semplicemente tagliare i contatti con lei), così propose di contattare il suo spirito per parlargli.
    Sapendo che la ragazza era molto credulona gli amici decisero di farle uno scherzo a alcuni di loro si inventarono scherzi, voci stridule, e oggetti da far cadere a terra nei momenti più intensi, ma quello che era iniziato come uno scherzo divenne un vero e proprio incubo.
    Il gruppo aveva bevuto parecchio e all'inizio nessuno si rese conto che la temperatura nella stanza era diminuita di parecchio; ci fu bisogno di un segno inequivocabile per far loro capire che non si scherzava più: il bicchierino usato per la tavola iniziò a muoversi da solo e la prima frase che scrisse fu:
    «Non scherzate col diavolo.»
    Norma e un paio di ragazzi iniziarono a spaventarsi, ciò nonostante la ragazza continuò a stuzzicare l'entità e le chiese se fosse il suo ex ragazzo. La risposta molto chiara:
    «Non sono il tuo ragazzo, cagna!»
    A questo punto i fratelli di Norma, Jorge e Luis, gli altri due fratelli di Carlos, avvertirono il rumore delle persiane che sbattevano, ma ancora una volta credettero che fosse qualcuno degli amici che voleva spaventarli. Norma continuò a chiese all'entità di manifestarsi e dirla chi fosse e per tutta risposta ottenne:
    «Sono qui con voi e ora mi trovo all'interno di Manuel.»
    Manuel era il nuovo fidanzato di Norma, che dopo che il bicchierino finì di comporre la frase si accasciò a terra e iniziò a contorcersi flettendo il corpo in posizioni impossibili. Credendo che il ragazzo stesse ancora scherzando Carlos e altri due amici gli dissero di smetterla e uno di loro lo prese per un braccio. La forza mostrata dal ragazzo fu incredibile e l'amico venne scaraventato via come se fosse gomma piuma.
    Il gruppo di amici andò nel panico e tutti si alzarono dal tavolo attorno al quale si erano radunati. Manuel continuò a contorcersi a terra e poi con un espressione terrificante in volto pronunciò più o meno questa parole:
    «Non si può fermare quello che avete liberato!»
    Da quel momento in casa Trejo iniziarono a cadere oggetti dai mobili, le sedie iniziarono a spostarsi, la temperatura scese ancora e le lampadine si ruppero; Manuel iniziò a parlare in una lingua sconosciuta con un timbro di voce distorto e innaturale e in casa iniziò un fuggi fuggi generale.
    Uno di loro iniziò a pregare, ma con un colpo secco la finestra della stanza si ruppe in mille pezzi e tutti scapparono furori (eccetto Manuel). Gli amici si dispersero e i fratelli Trejo si fermarono sotto un cartello stradale, mentre Carlos chiamava Padre Thomas per convincerlo a venire a casa. L'ultima cosa che vide uno di loro fu la Bibbia davanti alla porta che perdeva sangue!
    Carlos Trejo e i suoi fratelli tornarono al mattino e non trovarono più Manuel (seppero poi che si era ripreso ed era tornato a casa sua); in casa c'era un disordine incredibile e molti oggetti erano sparsi al suolo distrutti. Padre Thomas non raggiunse mai via Cañitas 51 perché quella notte cadde giù dalle scale spezzandosi il collo. Lui fu la prima delle morti legate a quell'evento.
    In casa Trejo nei giorni a seguire la situazione sembrò peggiorare e i fenomeni paranormali divennero molto più intensi. Una notte Norma si alzò per andare in bagno e svegliò tutti con un urlo terrificante: nel corridoio c'era un'ombra di quello che sembrava un monaco incappucciato, aveva le unghie lunghe ed emetteva un rumore sinistro simile ad una risata. Norma prese di un crocifisso appeso al muro e l'ombra sparì. Quella figura appariva molte volte nei corridoi della casa e spesso appariva in fondo al letto dei fratelli Luis e Jorge, che al tempo avevano 12 e 14 anni.
    I fratelli Trejo dopo poche settimane scapparono da quella casa e trovarono un'altra sistemazione.
    Dopo Padre Thomas morì Manuel: a soli 28 anni, mentre viaggiava con tutta la sua famiglia in una via poco trafficata uscì di strada schiantandosi contro un albero. Morirono tutti nello schianto.
    Toccò poi ad un altro degli amici presenti quella sera: Fernando, 26 anni, durante una rissa in un bar venne colpito alla testa da un proiettile vagante e morì in ospedale; poi fu il turno di Sofia, la moglie di Carlos, che a soli 28 anni morì di un tumore al cervello; poi Jorge che in un altro incidente d'auto venne perforato da una pezzo di vetro del tergicristallo.
    Tempo dopo Carlos Trejo cercò di vendere la casa e un suo amico se ne interesso: si chiamava Guillermo e morì proprio mentre si stava recando in auto per firmare il contratto. I suoi amici morirono uno dopo l'altro e di quella sera maledetta attualmente risultano viventi solo i fratelli Trejo.
    Carlos Trejo 10 anni dopo tornò a vivere in quella casa perché, a suo dire, era al centro dell'attività paranormale e di quelle morti.
    Determinato a scoprire cosa volesse quell'entità liberata con la tavola Ouija rimase lì diversi anni e scrisse anche un libro in cui riportò ogni fenomeno paranormale che visse. Carlos è convinto che si tratti di una questione personale, ma non sembra aver subito danni consistenti dall'entità che vive nella casa.
    Oggi chiunque voglia approfondire la questione può andare anche a visitare Casa Trejo, ma deve sottostare ad una regola scritta su un cartello posto all’ingresso:
    «Vietato parlare di fantasmi, vietato fare foto a Carlos Trejo e vietato fare foto dentro la casa.»
    Cosa è veramente successo in casa di Carlos? È tutto vero? Oppure è una farsa per pubblicizzare il libro (e il film ispirato ad esso) ?
    Difficile dirlo, ma attualmente diversi gruppi di ghost hunters, appassionati del mistero e curiosi visitano periodicamente la casa in via Cañitas 5; ciò lascia pensare che qualcosa di vero ci sia, ma la storia è davvero molto, forse troppo strana per essere tutta vera. Chissà…


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    IL FANTASMA DI COSTANZA DE CUPIS



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    Quando si parla di fantasmi o costruzioni infestate si tende ad immaginare luoghi isolati, lontano da tutto e da tutti, spesso teatro di omicidi o morti violente. E spesso le indicazioni geografiche sono vaghe, a volte errate o si dice che quella costruzione è crollata o è stata abbattuta. Per una volta vi parlo di un fantasma in pieno centro della nostra capitale, in una delle vie più famose e la cui dimora è ancora visibili e alcune volte visitabile.
    Non serve essere di Roma per sapere dove si trova Piazza Navona; ecco, il resto di questo edificio si affaccia proprio lì, anche se l'entrata principale è in via dell'Anima. Oggi si chiama Palazzo De Cupis, ma prima che avvenisse la storia che vi scriverò tra poco era conosciuto come Palazzo Pamphilj.
    Nei primi anni del 1600 a palazzo viveva Costanza Conti un ragazza descritta come molto avvenente. La cosa che però colpiva chiunque la vedesse erano le sua mani, di un candore unico e dalla bellezza invidiata da tutte le dame dell'aristocrazia.
    La giovane donna andò in sposa al nipote del cardinale Giandomenico De Cupis e anche dopo il suo matrimonio la usa bellezza rimase tale e le sue mani rimasero perfette, tanto che un artista di nome Bastiano le chiese di poterne fare un calco per mostrarle a tutti nella propria bottega. L'uomo fece un calco in gesso di una sua mano e la sua opera divenne talmente che la gente andava a vederla in pellegrinaggio quasi fosse una reliquia.
    La leggenda vuole che un giorno un frate di San Pietro in Vincoli, giunse alla bottega a rimirare quella opera d'arte e che, stupefatto da tutta l'ammirazione della gente che quasi venerava quel calco, disse un frase del tipo:
    «Se quella mano è umana, merita d’essere tagliata!»
    Probabilmente si riferiva al fatto che le persone ne parlavano quasi con blasfema ammirazione e che sembravano più attratti da quel pezzo di gesso che dalla croce del Cristo.
    Quell'episodio giunse alle orecchie di Costanza che da quel giorno si fece prendere dal terrore e dall'angoscia, vedendo in quell'affermazione un oscuro presagio. La donna, religiosissima, ordinò che il calco venisse distrutto e prese la decisione di rinchiudersi in casa per rinunciare alla vita mondana e espiare colpe che effettivamente non aveva pregando e cucendo.
    Qualche tempo dopo la ragazza si punse il dito con l'ago mentre stava ricamando e quella che sembrava una ferita di poco conto si infettò e si estese rapidamente a tutta la mano e il braccio. La mano andò in cancrena e a nulla servirono gli unguenti e le medicine dei medici: dovette essere amputata. Ma nemmeno quella drastica decisione riuscì a salvare Costanza perché l'infezione era ormai in circolo e la donna morì a causa della setticemia.
    Questa triste vicenda nei decenni a seguire venne tramandata di padre in figlio, assunsero i connotati di una leggenda e i romani ancora oggi sostengono che il fantasma di Costanza De Cupis si aggiri nel palazzo e che una bellissima e pallida mano appaia dietro il vetro di una finestra di Palazzo De Cupis quando la luna fa capolino e i suoi raggi illuminano la facciata. In molti sostengono che quella forma sia speso visibile anche dalla piazza sottostante.

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    LESTER ROAD, LA STRADA SENZA FINE



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    Il titolo chiarisce già che si tratta di una leggenda: non può esistere una strada senza fine, non letteralmente almeno. Ma come ogni leggenda che si tramanda da un po' di decenni alla base c'è qualcosa di vero, qualcosa che inserisce nella rigida realtà un senso di incertezza, come se non sempre ciò che appare ai nostri occhi sia esattamente così. Ecco, Lester Road è esattamente questo: un inganno, o meglio, una serie di illusioni e inganni che purtroppo l'hanno trasformata veramente in una strada senza fine per alcuni sventurati.
    Questa strada si trova a Corona, in California, ma una simile e dalla simile nomea di strada senza fine ce l'ha anche Miette Hot Springs Road ad Alberta, in Canada. Oggi, pur essendo stata progettata per un ingente afflusso di persone, è pressochè deserta, forse proprio per la leggenda che si racconta su di essa.
    Potremmo chiamare Lester Road con l'altro soprannome datole, ovvero "The Lost Wreck" (Il naufragio fatale), ma indipendentemente dall'appellativo su di lei si dicono cose reali e cose abilmente fantasticate.
    Cominciamo dalla leggenda per una volta. Sin dagli anni '70 moltissime persone che hanno guidato lungo questa strada tortuosa non sono mai giunte a destinazione e non sono mai state ritrovate. La leggenda della strada senza fine è così nota che in molti hanno ancora paura di guidare su di essa durante le ore diurne, di notte poi non ci si azzardano nemmeno perché si dice che incuta un senso di oppressione tale che si è costretti a tornare indietro anche quando si è di fretta. Si dice che gli automobilisti che viaggiano sulla Lester Road finiscano in un vuoto dimensionale dove il tempo scorre in maniera diversa e dal quale non ci sarebbe modo di uscire.
    Bella fiaba, ma forse è nata proprio perchè in effetti al strada è davvero pericolosa. A prima vista non è nulla di particolare, forse solo un po' mal pensata perché è lunga, tortuosa e soprattutto non è illuminata; per in grande tratto è costeggiata da una fitta boscaglia e da una intensa piantagione di limoni che rende il paesaggio monotono e sempre uguale. Forse quelle piante, tutte identiche e piantate in file regolari contribuiscono a incanalare il punto di fuga aumentando la percezione della lunghezza, dando l’impressione di una strada senza fine.
    Il problema della Lester Road però è alla fine della tratta: la strada ha una svolta brusca che curva seguendo un grande canyon; fino a qualche anno fa non c'erano guard rail e sull'altro lato del canyon la strada prosegue quasi seguendo la stessa direzione.
    Molte testimonianze reali affermano tutt'oggi che percorrendo la strada in notturna l’illusione ottica sia particolarmente impressionante. Dopo numerosi incidenti segnalati alle autorità locali, negli anni '90 ai svolse anche un’indagine per verificare la pericolosità di questa strada che sulle mappe non sembrava così problematica. Risultò che il canyon non era in alcun modo segnalato e che la strada fosse sprovvista di guard rail o di altro tipo di protezione. Inoltre, poiché dall’altro lato del canyon iniziava un’altra provinciale si constatò che la prospettiva potesse effettivamente giocare un brutto tiro a chiunque percorresse la Lester: a una certa angolazione c'era proprio l’illusione che la strada fosse una sola, creando l’inganno di una carreggiata continuasse senza svoltare finendo in un profondo dirupo.
    Non fu mai confermato, ma si dice che vennero ritrovate dalle stesse autorità dozzine di autoveicoli sul fondo del canyon, precipitati a causa di quel particolare gioco ottico. Si dice anche che le forze dell'ordine locali abbiano messo a tacere la scoperta per evitare uno scandalo e che vennero ritrovati diversi cadaveri nelle loro tombe di metallo contorto in fondo al canyon.
    Se queste affermazioni fossero vere allora sì, la Lester Road sarebbe davvero "la strada senza fine".

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    POLONG, IL FAMGILIO VAMPIRO



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    La cultura malese ha un folclore pieno di mostri e creature spaventose, ma quasi tutte sembrano incentrate sul miti dei vampiri. Anche questa creatura di cui vi parlo in questo articolo ha qualcosa a che vedere con i vampiri, sebbene il fulcro di tutto sia uno stregone chiamato "bomoh".
    Il "polong", più che una creatura libera di agire e fare del male, si può definire come un "famiglio", ovvero una creatura che segue il suo padrone e agisce per difenderlo o per suo ordine. Nella cultura malese, infatti, è uno spirito al servizio di un uomo malvagio che lo sua per scopi personali, il più delle volte per arrecare danni o la morte di altre persone.
    Viene ritenuto una creatura che per la maggior parte del tempo resta invisibili, ma che a seconda delle zone in cui c'è questa credenza (gli stati malesi di Sarawak, Pahang, Sabah) può assumere la forma di piccolo essere umanoide dalle lunghe zanne o un essere demoniaco alato simile ai famosi "imp", o ancora una piccola sfera di fuoco; assumerebbe queste forma quando lascia la bottiglia in cui è contenuto per volare verso le vittime indicate dal suo padrone.
    Il polong non è uno spirito infernale o un mostro che si riproduce per suo conto, ma è una creatura malvagia generata dalla magia dell'uomo: la tradizione malese dice che per creare un polong si deve prende del sangue umano di una persona assassinata o deceduta di morte violenta e collocarlo in una bottiglietta di vetro, meglio se bombata (perchè sarà la dimora del polong); il bomoh, lo stregone che lo crea, recita un complicato rito di gesti e magia nera che durano due settimane durante le quali, tra l'altro, la bottiglia viene tenuta al buio e coperta da un drappo nero. Se il procedimento è andato a buon fine lo stregone dopo questo periodo inizierà a sentire rumori e suoni provenienti dalla bottiglia, alcuni simili al pianto di un bambino: così come un neonato anche il bomoh deve sfamare il suo famiglio e per farlo deve incidersi un dito e versare il sangue nella bottiglia per alimentare il polong. Quest'ultima parte è molto importante perché il polong, bevendo il sangue del suo padrone, instaura il legame di fedeltà e di lealtà per poterlo servire in futuro.
    Secondo la leggenda, quando il polong è pronto, può essere utilizzato per danneggiare le vittime designate dal proprietario, causando malattie, ferite e arrivando anche ad uccidere. Si dice anche che il polong si accompagni ad un'altra creatura, anch'essa vista come un famiglio degli stregoni: si chiama "pelesit" ed è rappresentata come una cavalletta mostruosa o un essere femminile simile ad un insetto con la coda a forbice. Insieme, i due famigli attaccheranno chiunque la strega o lo stregone indichi loro: Il pelesit taglierà le carni della vittima facendo un foro con la coda tagliente ed il polong striscerà all'interno causando la malattia e follia nella persona.
    Una persona afflitta da un polong è riconoscibile perché ha molti lividi inspiegabili sul suo corpo e spesso perderà sangue dalla bocca. Le persone che credono di essere stati attaccati da polong affermano di aver riscontrato sul loro corpo lividi, segni sula pelle, ecchimosi e di percepire al loro interno un qualcosa che sembrava divorarle lentamente.
    Quando non utilizzato dal suo padrone, il polong rimarrà all'interno della sua casa-bottiglia e non ascolterà nessuno tranne il suo proprietario. In alcune zone della Malesia si crede che alcuni bomoh sfruttino il loro polong per estorcere denaro alla gente: inviano il loro famiglio a danneggiare la vittima, solitamente molto ricca, e poi si presentano e lei con l'offerta di esorcizzarla e toglierle il male. In alcuni casi però il polong che viene inviato dal suo proprietario rifiuta di lasciare il corpo che ha attaccato e l'unico modo per liberare la vittima è un complicato rito musulmano da un imam.
    La credenza nel polong è molto radicata e molti gli imputano gran parte dei loro problemi fisici o delle malattie che contraggono. Per fortuna esiste una protezione contro il polong: si dice che il polong venga fortemente indebolito da un unguento fatto di semi di pepe nero mescolati con olio e uno spicchio d'aglio e sono molto cumini i riti sciamanici nei quali questo unguento viene sparso sul corpo di un malato per liberarsi del polong.
    I musulmani inoltre credono che le recitazioni del Corano possano infastidire e tormentare il polong affinchè riveli il nome del suo padrone, ma è anche credenza comune che il polong sia talmente attaccato al suo padrone da citare qualche altra persona per sviare il pawang (lo sciamano).

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    SHOYNA, IL VILLAGGIO SEPOLTO DALLA SABBIA



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    Una delle mie fobie è quelle di essere seppellito vivo, e non parlo solo di un'errata diagnosi di morte, ma anche quella di andare un giorno in montagna e trovarmi la mattina sotto metri di neve in seguito ad una valanga o a una nevicata fuori dal comune.
    Credevo che fosse una paura infondata, ma fino ad un ventina di anni fa da me nevicava anche oltre il metro e mezzo e una cosa del genere mi è quasi capitata. Posso immaginare, quindi, come si possa sentire la gente del villaggio russo di Shoyna che periodicamente rischia di essere sepolta viva sotto tonnellate di sabbia.
    Shoyna si trova nel nord della Russia, ai margini del circolo polare artico, ed è considerata la zona di deserto più settentrionale del mondo perchè qui ci sono dune di sabbie che si estendono per decine chilometri lungo la costa del Mar Bianco. L'insediamento è molto piccolo e conta meno di 300 anime che vivono in situazioni davvero estreme: i venti che giungono dal mare sono spesso intensi e durano diverse ore; ciò provoca lo spostamento della sabbia che va ad accumularsi sul centro abitato in maniera massiccia al punto che gli abitanti sono costretti a continui interventi per sbloccare le strade, le finestre e gli ingressi. Se infatti si lasciasse accumulare la sabbia per qualche giorno questa impedirebbe ogni via di accesso e non permetterebbe nemmeno agli abitanti di uscire di casa.
    E questa è la situazione "normale": ci sono periodi dell'anno in cui le correnti che giungono da nord sono talmente intense da allarmare gli abitanti perché più volte, dopo una notte di vento, si sono trovati letteralmente seppelliti dalla sabbia e persino passando con un elicottero tutto ciò che si scorgeva del villaggio erano solo parte dei tetti.
    Per gli abitanti di Shoyna è una continua lotta ad armi impari contro le dune che avanzano implacabili verso le loro case e ciò ha portato negli ultimi decenni ad un rapido spopolamento: rimuovere la sabbia che si accumula attorno alle case è un lavoro che impegna tutti al villaggio e toglie tempo alla loro unica attività di profitto, ovvero la pesca.
    I primi ad insediarsi al villaggio giunsero nel 1930 e fino al 1950 l'attività dei pescatori attirò moltissima gente, raggiungendo oltre 1.500 abitanti e più di 70 pescherecci. Con il tempo la pesca intensiva a strascico ha ridotto di molto la fauna ittica, rendendo i guadagni sempre meno ingenti; questo, oltre al pericolo della sabbia in movimento continuo, ha fatto migrare l'attività altrove e oggi i pochi rimasti vivono di sussidi di disoccupazione o di pensioni sociali.
    Da un recente studio effettuato dall'architetto norvegese Jan Gunnar Skjeldsøy è emerso che la sabbia che oggi affligge Shoyna è in gran parte una conseguenza diretta dell'attività scellerata dell'uomo: l'attività di pesca a strascico ha distrutto e alterato l’ecosistema marino raschiando il fondo del mare e rendendolo sterile; inevitabilmente le maree hanno portato a rive molta più sabbia del normale che poi i venti ha accumulato in dune alte oltre 5 m che oggi sparge in lungo e in largo sulla costa. La sabbia ha iniziato a seppellire il villaggio dagli anni '90, isolandolo sempre più dagli altri centri abitati e costringendo i residenti a scappare altrove per la paure di morire seppelliti.
    Shoyna oggi è un insediamento al limite del vivibile, ma le 300 persone che rimangano lì sono molto orgogliosi della loro strenua resistenza contro una forza della natura che pare inarrestabile.

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    BUNNYMAN, L'UOMO CONIGLIO



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    Un modo di dire molto famoso è che in ogni leggenda c'è un fondo di verità. Questo forse andava bene fino a quando internet non è entrato nelle nostre case (forse nemmeno prima): oggi le creepypasta vanno per la maggiore sui siti di chi ama il genere horror e solitamente si tratta di storielle macabre create a tavolino e sempre più realistiche. Ciò però non vuol dire che tutte le leggende metropolitane e le creepypasta siano inventate: in effetti, benchè la fantasia delle persone sia sempre più fervida, spesso ci si ispira a fatti realmente accaduti, ovviamente adattandoli alle nostre esigenze.
    In questo articolo vi parlo di una delle più famose creepypasta a livello mondiale, al punto che ha ispirato ben due film horror/splatter: la leggenda di Bunnyman, ovvero l'uomo coniglio. A questo punto già mi immagino la vostra faccia: "Vuoi davvero farci credere che esiste una creatura metà uomo e metà coniglio che ammazza la gente?"
    No, niente affatto, ma vi spiegherò come è nata la leggenda e i fatti reali che ne sono alla base.
    Come ben sappiamo a cavallo tra il 1800 e il 1900 in America e Europa nacquero moltissimi istituti di sanità mentale con lo scopo di isolare, più che curare, tutti coloro che erano considerati pazzi o "scomodi". La cosa si complicò molto nel primo decennio dello scorso secolo, quando negli Stati Uniti la tubercolosi dilagò in un'epidemia quasi inarrestabile e costrinse quegli istituti ad accogliere anche i malati di TBC, sempre con lo scopo di allontanarli dalle città e farli morire lontano da occhi indiscreti.
    Uno di questi famosi istituti era quello di Clifton, in Virgina, edificato al tempo della guerra civile e teatro di scempi contro l'umanità indicibili, ma giustificati dalla scienza come esperimenti alla ricerca di una cura per i suoi pazienti.
    Per fortuna (o per sfortuna, dipende dai punti di vista) il manicomio in questione venne chiuso nel 1904, per ordine di un decreto del presidente degli USA che voleva ridurre le spese statali per spostarle nel campo bellico. Il governo decise quindi di trasferire i pazienti in istituti analoghi in giro per lo stato, ma uno dei bus utilizzati per quello scopo non giunse mai a destinazione.
    Non si sa il motivo, ma quel mezzo di trasporto ebbe un incidente molto grave: molti morirono e alcuni detenuti riuscirono a scappare nei campi e nella foresta. Le autorità accorsero in fretta e riuscirono a catturare quasi tutti i fuggitivi, tutti tranne due: Marcus Lawster e Douglas Griffen. Vennero organizzate squadre di ricerca, anche perchè i due erano considerati pericolosi e affetti da gravi disturbi mentali, ma ci vollero tre giorni per localizzarli. Fu grazie ad alcuni abitanti della periferia della città che la polizia venne allertata per il ritrovamento di carcasse di conigli in un terreno, alcune delle quali appese con un cappio a degli alberi: era chiaro che non fosse opera di un predatore, ma di un essere umano.
    Quando gli agenti giunsero sul luogo trovarono i conigli scuoiati, mutilati e parzialmente divorati, ma soprattutto le scie di sangue e di animali morti conducevano ad un vecchio ponte che usavano solo in pochi quando andavano nei campi. Proprio all'entrata di quel tunnel gli agenti trovarono il cadavere di Marcus Lawster, in condizioni simili, se non peggiori, di quelle dei conigli. L'uomo era impiccato ad un albero e il suo corpo era stato scuoiato, inciso e mutilato; penzolava in bella vista e fu subito chiaro chi fosse il suo assassino.
    Non ci volle molto che il killer venne scoperto in una vecchia casa abbandonata poco distante: Douglas Griffen tentò la fuga, ma venne investito da un treno che passava proprio lì vicino e venne raccolto a brandelli. Più tardi si seppe del perchè era stato ricoverato ed era stato subito lanciato l'allarme dopo l'incidente: Griffen era stato chiuso in manicomio perché aveva ucciso la moglie e i figli una domenica di Pasqua.
    La notizia dell'incidente, dei conigli e di ciò che aveva fatto Griffen si sparse a macchia d'olio e quel ponte da allora venne soprannominato "the Bunny Man Bridge".
    Bene, ora inizia la leggenda. Ci volle tempo, ma alla fine tutta quella macabra storia venne quasi totalmente dimenticata e oggi non si racconterebbe nessuna creepypasta se non fosse che intorno agli anni '70 iniziarono a giungere alla polizia del luogo strane segnalazioni di uomo molto grasso vestito da coniglio che spaventava e aggrediva con un'ascia le persone che dopo il tramonto passavano con la macchina nei pressi di Clifton. Ironia della sorte, secondo le testimonianze il "burlone" si nascondeva sotto un cavalcavia chiamato "Colchester", che guarda caso era stato costruito dove una volta c'era il famoso Bunny Man Bridge.
    Ogni anno e per diversi anni, le segnalazioni giungevano sempre nei giorni che precedevano o seguivano Halloween e le autorità pensarono quindi ad uno scherzo di qualcuno che ci stava andando un po' troppo pesante, ma furono talmente tanti a telefonare terrorizzati che le autorità furono costrette a pattugliare la zona sempre più spesso, senza mai trovare però l'uomo coniglio.
    Oggi la leggenda dell'uomo coniglio è diventata ancora più spaventosa, alimentata dai due film horror “The bunnyman”, del 2011, ed il sequel “The bunnyman massacre”, del 2014. In entrambi omicidi, squartamenti e sangue sono il filo conduttore e alcuni hanno perfezionato la storia raccontando diverse versioni spaventose.
    Oggi, come ho detto, Bunnyman è una figura fissa dell’immaginario collettivo americano e, incredibile a dirsi, c'è anche chi pensa che davvero in Virginia si aggiri un assassino vestito da coniglio.

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    I BAMBINI VERDI DI BANJOS



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    Questa vicenda da spunto a moltissimi argomenti ampiamente discussi da scienziati, ufologi, cospirazionisti e amanti del mistero. Assomiglia molto alla famosa leggenda dei "bambini verdi di Woolpit" (la definisco leggenda perché avvenne nel XII secolo e a noi ci sono giunte solo testimonianze orali), ma un po' più dettagliata e sicuramente un po' più affidabile..
    Nell'agosto del 1877 nel piccolo villaggio spagnolo di Banjos, nella regione della Cantabria, le famiglie contadine erano in pieno regime nella mietitura del grano. Un giorno i contadini videro due bambini uscire da una grotta che conoscevano bene, ma che era sempre stata ignorata perché al suo interno era molto pericolosa e scendeva rapidamente in profondità nella collina. Quei due bambini, che a prima vista avevano non più che 10-11 anni, si guardarono attorno spauriti e poi tenendosi per mano uscirono in mezzo ai campi camminando guardinghi.
    Per quanto fosse solito vedere dei bambini giocherellare nei campi, quelli erano davvero molto strani e soprattutto nessuno li conosceva: parlavano tra di loro in una lingua sconosciuta, vestivano strani abiti oleoso e avevano la pelle color verde.
    Di questo caso esistono prove e testimonianze, come quella di Ricardo Da Calno, magistrato locale e maggiore proprietario terriero del luogo, che accolse i due bambini che vennero portati al villaggio dai contadini. Da Calno inizialmente pensò che fossero solo sporchi e così strofinò la mano della bambina per vedere se il colore verde potesse andare via, ma invano.
    L'uomo provò a colloquiare con i bambini, non capiva nessuna delle parole che dicevano, così si rivolse ad un suo amico, un prete di Barcellona, sperando che la sua conoscenza e i suoi studi riuscissero a capire da dove fossero giunti quegli strani bambini. Il religiosi giunse alla casa di Da Calno e provò anch'egli a instaurare un discorso con i piccoli ospiti, ma lui stesso scrisse sul suo diario che per quanto avesse tentato non era in grado ci comprendere la lingua dei bambini e a suo parere non era nessuna lingua conosciuta in Europa.
    Ai bambini venne offerto del cibo, ma ai loro sguardi sembravano pietanze mai viste prima ed entrambi si limitarono ad annusare o leccare i cibi con un misto di sospetto e stupore. Per 5 giorni rifiutarono ogni cosa gli venne offerta, fino a quando non vi vennero presentati dei fagioli crudi: li mangiarono avidamente, senza toccare altro.
    Da Calno scrisse che, osservando i loro tratti, sembravano di razza africana, ma con occhi a mandorla e incassati; la pelle era verde e i vestiti, osservati dai maggiori eruditi del paese, sembravano costituiti da una sostanza gommosa simile alla gomma di caucciù.
    Purtroppo il maschio nei giorni a seguire divenne sempre più debole e, non toccando altro cibo che non fossero fagioli, morì circa una mese dopo; la femmina al contrario si riprese e crebbe nella casa del magistrato allevata dalla domestica che riuscì anche ad insegnarle qualche parole di spagnolo. Quando fu in grado di esprimersi disse che lei e suo fratello provenivano da un paese dove non sorgeva mai il sole e c'era solo un eterno crepuscolo.
    Sui documenti ufficiali vennero scritte queste parole:
    «C'è un paese di luce non lontano da noi, ma dal quale siamo separati da una corrente di grande larghezza… Vi fu un grande rumore. Noi fummo presi nello spirito e ci trovammo sul campo di grano.»
    Poi disse che non riconoscendo nulla attorno a loro, i due bambini si erano rifugiati nella grotta, dove uscirono solo quando il sole fece capolino.
    La bambina visse circa cinque anni, poi anch'ella morì e venne seppellita accanto al fratello. Pur assomigliando ad una leggenda o ad una storiella inventata di sana pianta, in Spagna esistono ancora i verbali e le testimonianze di tutta la vicenda.
    Chi o cosa erano i due bambini verdi di Banjos?
    Gli studiosi e gli storici che hanno esaminato i documenti, trovandoli autentici, hanno formulato l'ipotesi che probabilmente si trattava di bambini abbandonati e il colore della pelle poteva essere dovuto a clorosi provocata da denutrizione. Per quanto riguarda la loro lingua sconosciuta hanno affermato che può essere che Da Calno e il sacerdote si sbagliarono e che si trattava solo di bambini analfabeti oppure di qualche dialetto del nord che non conoscevano. Gli occhi a mandorla? Beh, su quelli non si sono pronunciati.
    E tutti gli altri cosa pensano? Forse erano bambini di razza non umana provenienti da un altro mondo e atterrati con un UFO? Un buco dimensionale e provenivano da una dimensione parallela? O forse provenivano da Agharti, il famoso regno sotterraneo?

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    IL PONTE DELLE STREGHE DI RIGNANO



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    In provincia di Foggia c'è un bellissimo parco nazionale che associa una grande varietà di flora e fauna a bellissimi panorami: si tratta del Parco Nazionale del Gargano, dal quale si può godere di un'ampia veduta del Tavoliere delle Puglie. Dal 2004 il parco nazionale ha inglobato un piccolo paesino di poco più di 2.000 abitanti chiamato Rignano Garganico che, proprio per il fatto di essere sul promontorio ed avere degli stupendi panorami, soprannominato il "Balcone delle Puglie".
    Fino al 1862 si chiamava semplicemente Rignano e in realtà ancora oggi in Puglia è famoso per la versione abbreviata; ma chi è di quelle zone sa bene che il paesino ha anche un altro soprannome, ovvero la "città delle streghe". A differenza di Triora, ben noto paese delle streghe in Liguria, qui non si parla di processi iniqui alle streghe, ma di streghe vere, con tanto di fatti reali citati in documenti ufficiali che vanno indietro nel tempo anche di secoli.
    Che ci siano o che ci siano state le streghe comunque è ancora tutto da dimostrare, tuttavia le credenze popolari, gli aneddoti degli abitanti della zona e le leggende sono talmente numerosi che non possono essere ignorati.
    Della città delle streghe a noi interessa il "ponte delle streghe", un ponte in pietra molto antico che permette di passare da una sponda all'altra del canale di Lamasecca: ancora oggi gli anziani ci passano solo se strettamente necessario e ogni volta che lo fanno volgono il capo alla parete di roccia che lo sovrasta nel timore che le streghe si palesino ai loro occhi.
    Inizio col dirvi che non hanno tutti i torti: se si esaminano i libri antichi della parrocchia che riportavano i funerali e i decessi in zona si può leggere strani ritrovamenti nella zona del ponte: sin dal 1700 appaiono nomi (a volte nemmeno quelli perché forse erano stranieri o persone poco conosciute) di contadini, viaggiatori, mercanti e cittadini ritrovati decapitati, alcuni dei quali la testa non venne mai ritrovata. Fino all'inizio del 1900 purtroppo compaiono molti ritrovamenti e tutti in condizioni terrificanti.
    Forse un po' quelle notizie, un po' le dicerie, un po' la fantasia hanno portato ad essere molto superstiziosi riguardo il ponte e ancora oggi si narra una leggenda davvero inquietante.
    La leggenda oggi viene raccontata in diverse versioni, a seconda della persona a cui la chiedete, ma in generale si parla di tre contadini del luogo, che per comodità chiameremo Michele, Giovanni e Gino, che erano soliti salire a dorso degli asini lungo la collina per coltivare i terreni cui terrazzamenti. Per farlo seguivano sentieri sterrati che si inerpicavano seguendo parallelamente il canale Lamasecca.
    Come ogni mattina i tre iniziarono la lenta salita, ma ad un certo punto le loro cavalcature iniziarono a dare segni di inquietudine e cominciarono a ragliare, rifiutandosi di proseguire. A nulla servirono le pacche e le bastonate: gli asini iniziarono a scalciare e uno di loro disarcionò il proprietario e si lanciò in corsa lungo la discesa.
    Gino, il più attento dei tre, vide davanti a se sopra una roccia sporgente a circa 200 m da loro, dall'altra parte del vallone, la causa della paura degli asini e la indicò agli amici: tre bellissime ragazze nude ballavano in cerchio, tutte con i capelli lunghi, una bionda, una rossa e una dai capelli neri. Gli amici si voltarono, ma non videro nulla, nonostante agli occhi di Gino fossero ancora lì ben visibili.
    I tre allora decisero di andare a controllare e fecero una deviazione per raggiungere la sporgenza. Legarono gli asini ad un albero e si incamminarono a piedi lungo il vecchio canale, fino a raggiungere il posto indicato da Gino. Man mano che si avvicinavano Gino iniziò a sentire delle voci di ragazza che cantavano, ma nuovamente i suoi amici non sentivano nulla. Giunti alla meta, nei pressi del ponte di pietra, videro con orrore tre cadaveri decapitati.
    Già spaventati a morte, quando sentirono nell'aria la risata e il canto di tre ragazze provenienti da ovunque intorno a loro, Michele, Gino e Giovanni iniziarono a scappare all'impazzata, ognuno per un sentiero diverso. In paese arrivò solo Michele, mentre gli altri non fecero più ritorno. Gli abitanti iniziarono a cercarli per tutto il giorno e la notte: non solo non trovarono i due dispersi, ma nemmeno i tre cadaveri che Michele disse di aver visto vicino al ponte di pietra.
    Michele inspiegabilmente impazzì e nella sua follia le uniche parole che riusciva a dire erano:
    «Sò lli stréje, so lli stréje!» (Sono le streghe, sono le streghe).
    Questa è una delle versioni più raccontate e oggi i giovani la prendono per una leggenda o una storiella per spaventare i più paurosi; certo è che non sono in molti i coraggiosi che preferiscono lasciare la via principale per passare nei pressi del ponte, forse perché, come ogni legenda, qualcuno teme che ci possa essere un fondo di verità.

    Fonte facebook: Misteri dal Mondo - Credere Per Vedere
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    LA STREGA DI CHESTERVILLE



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    Avete mai visto il film The VVitch? Personalmente ho visto molti film sulle streghe, ma questo mi ha davvero colpito per la storia, il realismo senza grandi effetti speciali e soprattutto il fatto di essere in un certo plausibile (ovviamente riportandolo alle credenze del periodo in cui è ambientata).
    La storia è molto semplice: nel New England William, un religioso predicatore, viene allontanato dalla comunità puritana in cui vive per il suo estremismo nell'interpretazione della parola di Dio e assieme a lui viene allontanata anche la sua famiglia. Costretto a rifugiarsi ai bordi di un bosco, vedrà svilupparsi l'odio tra i membri della famiglia, che vengono messi l'uno contro l'altro da bugie, omissioni, superstizioni, reciproche accuse, fino all'accusa verso la figlia adolescente di essere una strega.
    La cosa curiosa di questo film la si legge alla fine nei sottotitoli: il film è tratto da «giornali, diari e resoconti giudiziari del tempo (XVI secolo)».
    Il film merita davvero e in questo articolo l'ho preso come esempio proprio perchè la vicenda che voglio raccontarvi ci assomiglia molto. Siamo però in Illinois, in una cittadina chiamata Chesterville, ancora molto legata al passato e alle tradizioni. Lì vi risiede una comunità Amish che da secoli tramanda le tradizioni del loro rigido pensiero: il tempo a Chesterville sembra essersi fermato e la gente preferisce muoversi a cavallo, illuminare la notte con i lumi ad olio, vivere senza tecnologia e di cose semplici reperibili in natura.
    Non molto distante da Chesterville c'è un piccolo cimitero, appositamente isolato dagli abitanti e difficilmente raggiungibile per chi non sa come muoversi lungo i sentieri; lì, tra le tante tombe, ce n'è una molto particolare sopra la quale è cresciuto un albero imponente: quella è la tomba della Strega di Chesterville!
    La sua storia si tramanda di generazione in generazione, ma il suo nome è stato dimenticato e anche la lapide è talmente erosa da rendere le incisioni impossibili da leggere. Per comodità la chiameremo Lucy.
    Nel 1600 Lucy era una ragazzina schietta, ribelle e a volte irrispettosa; era in pratica un'adolescente di 15 anni che voleva vedere il mondo e non restare confinata nella piccola e rigida comunità. Quei suoi atteggiamenti di certo non contribuirono a renderla piacevole agli anziani del villaggio, che spesso si trovavano a discutere sulle punizione da infliggerle per il suo carattere troppo anticonformista.
    Il culmine della tensione lo si raggiunse quando la ragazza sfidò apertamente l'autorità degli anziani protestando vibratamente per i loro modi ingiusti di trattare le mogli e i figli: probabilmente volarono parole grosse e la sua irruenza fu tale che il piccolo villaggio la etichettò come una strega, e gli Amish anziani decisero di bandirla dalla comunità. Assieme a lei il paese bandì anche la sua famiglia che fu costretta a rifugiarsi in una vallata non molto distante e vivere in una capanna di pietra e fieno usata dagli allevatori in estate.
    Pochi giorni dopo quella decisione il corpo senza vita della 15enne venne trovato da un contadino in un campo vicino a Chesterville; i genitori di Lucy pregarono gli anziani del villaggio di darle una degna sepoltura nel cimitero della comunità, ma loro si rifiutarono e decisero di seppellire la strega durante la notte e di piantare un grande albero sulla sua lapide per intrappolare la sua anima nel terreno in modo che non potesse tornare indietro e cercare vendetta.
    Secondo i racconti Amish il costruttore di bare e becchino della comunità vide più volte il fantasma della ragazza davanti alla sua porta di casa e gli anziani, il giorno prima della sepoltura, ebbero terribili incubi riguardanti il diavolo e un sabba di streghe.
    Quando Lucy venne seppellita, tutti erano timorosi perché temevano che sarebbe tornata dall'Aldilà per portare sfortuna e sciagure alla comunità che l'aveva abolita, così permisero alla famiglia di tornare tra di loro e, oltre all'albero, fecero una recinzione in ferro battuto per tenere la gente lontano dall'albero e non disturbare la sua anima.
    Ancora oggi la lapide e la pianta sono visibili, ma sul tronco dell'albero c'è un profondo e antico taglio trasversale che la comunità Amish ha interpretato come l'azione di qualcosa di sovrannaturale che abbia voluto liberare lo spirito della strega. La comunità non osa nominarla perchè ha paura che lo spirito un giorno torni per vendicarsi.
    Molti raccontano di strani rumori nel cimitero e di figure femminili vicino la tomba durante il plenilunio. Anche molti curiosi si sono addentrati nel bosco a osservare la tomba e hanno riferito di aver visto sfere incandescenti nel bosco ed aver ascoltato suoni provenienti dall'albero e dalla lapide.
    Nella comunità Amish c'è una forte convinzione che se l'albero dovesse morire o essere rimosso l'ira di Lucy si abbatterà su Chesterville e tutti si adoperano per scacciare chiunque si avvicini alla lapide della strega e ad aggiustare periodicamente l'inferriata attorno alla tomba in modo che il suo spirito resti sempre confinato al suo interno.


    Fonte facebook: Misteri dal Mondo - Credere Per Vedere
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    IL LEPRECHAUN, IL SIMBOLO DELLA FESTA DI SAN PATRIZIO



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    Il 17 marzo si festeggia il Patrick’s Day, ovvero la festa di San Patrizio, che è il patrono dell’Irlanda. In un paese dove il folclore è più vivo anche altrove non poteva mancare l'accostamento con una creatura magica come il leprechaun (noi lo abbiamo storpiato in "leprecauno").
    Cercherò di spiegarvi cosa è un leprechaun, ma prima devo passare inevitabilmente per la festa di San Patrizio e il motivo per cui si festeggia.
    San Patrizio è un santo della chiesa romana le cui date di nascita e morte sono incerte: gli storci pensano che nacque a Kilpatrick tra il 385 ed il 392 d.C. Arrivò in Irlanda a circa 16 anni come prigioniero dei pirati e lavorò come pastore sulla Slemish Mountain nella contea di Antrim. Lì apprese le pratiche druidiche e la lingua gaelica e all'età di 22 anni riuscì a scappare e imbarcarsi per l’Inghilterra. Negli anni divenne moto credente e fece dei sogni rivelatori in cui una voce lo richiamava a cristianizzare l’Irlanda. Per questo motivo si recò in Francia presso il Monastero di Auxerre dove si preparò al sacerdozio.
    Papa Celestino lo battezzò con il nome di Patrizio e gli diede il compito di estirpare dall’Irlanda il paganesimo: fu allora che il vescovo Patrizio tornò in Irlanda e la percorse a piedi in lungo e largo predicando, operando miracoli e soccorrendo coloro che ne avevano bisogno. La morte di San Patrizio viene datata dagli storici il 17 marzo 461 a Sau ed è per questo che il 17 marzo di celebra la sua festa.
    In tale occasione tutti gli addobbi e i colori dei vestiti diventano verdi in tutti i luoghi in cui si festeggia il Santo. Accanto al colore verde ci sono però altri simboli della tradizione, primo tra tutti il trifoglio: il trifoglio è il simbolo della festa di San Patrizio perché il santo lo utilizzò come metafora per spiegare agli irlandesi pre-crestiani cosa era la Santa Trinità. Il colore verde, invece, non fu adottato dall’inizio ma in seguito in quanto rappresentava il colore della stagione della primavera e del trifoglio: inizialmente il colore principale della festa era il blu, come quello della veste del santo. Infine, ma non meno importante, una delle usanze della festa è quella di cercare la pentola d’oro che i leprechaun (ovvero i folletti irlandesi) usano per contenere i loro tesori.
    Eccoci quindi a parlare di questa insolita creatura. Cosa è un leprechaun? A noi sembra uno gnomo con il cappello verde in testa, ma in realtà si tratta di un folletto acquatico.
    Il suo nome deriva dal termine "luchorpan" che significa “corpo piccolo”, a sottolineare la sua appartenenza al Piccolo Popolo. La tradizione vuole che sia alto tra i 2 e i 3 piedi (tra i 60 e i 90 cm), sia di aspetto gracile, ma abbia una forza incredibile e con un solo pugno possa stendere un toro. Ha il naso a patata, lungo e con la punta rossa, che molti credono sia dimostrazione della sua predilezione per le bevande alcoliche; ha i peli rossi, porta i capelli lunghi e la barba a punta e, come moltissime altre creature del Piccolo Popolo vive nei boschi. Forse è per questo che veste sempre di verde.
    Le credenze nel leprechaun sono vecchie di secoli e le prime impressioni che diedero gli autori che lo descrissero furono che fosse una specie di damerino altezzoso. Yeatnel suo "Fairy and Folk Tales of the Irish Peasantry" lo descrive così:
    «È in qualche modo un elegantone, vestito di una giacca rossa con sette file di bottoni, sette bottoni per fila, e porta un cappello a tricorno e nelle regioni del nord-est si dice che sia solito girare come una trottola sulla punta del cappello quando ne trova uno della misura adatta.»
    Più recentemente è descritto come un ometto alto meno di un metro con una giacca a falde color verde smeraldo e un cappello a cilindro, un panciotto di lana, pantaloni alla zuava, calze al ginocchio, scarpe di pelle con fibbie d'argento.
    Il leprechaun è una creatura burlona e ama fare scherzi alla gente, specie se si tratta di persone avare o avide; ha un debole per la fanciulle prosperose e non disdegna di soffermarsi a raccontare delle storie a chi ha la pazienza di starlo ad ascoltare. È piuttosto permaloso e di buona memoria per quanto riguarda i torti subiti; ama il denaro e gli oggetti lucenti, ma è generoso con chi si comporta bene nei suoi confronti e lo rispetta.
    Oggi infatti è buona usanza lasciare per il folletto un bicchiere di latte e qualche biscotto sul davanzale della finestra, anche perché il leprechaun premia le persone simpatiche e amanti della natura con parte del suo oro, che fa trovare nelle case o nei luoghi frequentati dal fortunato che entra nelle sue simpatie.
    Il leprechaun è una fata, ma non ha le ali; in compenso corre velocissimo e riesce a fare degli enormi balzi. Può diventare invisibile e si dice che i mulinelli di vento nelle giornate di aria calma siano il segno del suo passaggio. Si crede anche che i mulinelli nascondano nel loro interno il leprechaun che lo sfrutta per trasportare le cose da un luogo ad un altro: questo sarebbe il motivo per cui grano, fieno, legna tagliata vengono trovati nascosti in fosse o nel bosco oppure nei campi dei vicini, provocando sospetti e liti.
    Il mestiere del leprechaun è il ciabattino: cuce e ripara le scarpe delle fate e lo si potrebbe incontrare nei boschi seguendo il caratteristico suono prodotto dall’incessante martellio sul cuoio delle scarpe. È anche il tesoriere del Reame Fatato e custodisce l’oro delle fate in un grande pentolone: il suo compito è di trovare un buon nascondiglio e di spostare in tutta fretta il tesoro quando in cielo spunta l’arcobaleno perché l'arcobaleno indica il nascondiglio dell’oro.
    Se si riesce a catturare un leprechaun egli in cambio della libertà potrebbe rivelare dove ha nascosto il tesoro, ma è quasi impossibile riuscire a superarlo in astuzia: basta distrarsi un attimo e svanisce nel nulla!
    I bambini irlandesi sono soliti costruire una trappola in occasione della festa di San Patrizio per catturare il leprechaun: come esca bisogna utilizzare oggetti lucenti che richiamino il colore dell'argento o dell'oro, oppure tanti trifogli (che lui adora); la trappola deve essere realizzata riciclando una scatola cilindrica, rivestita con della carta crespa verde e decorata come un cappello di foggia antica.
    Se il folletto riuscirà ad evadere la trappola è possibile che lasci una traccia del suo passaggio, delle impronte o un bigliettino di ringraziamento (in cambio degli oggetti luccicanti), e se proprio si sarà divertito nel visitare la trappola potrebbe lasciare un piccolo regalo!

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604 replies since 27/5/2014
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