Duat, il regno dei defunti

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    DUAT, IL REGNO DEI DEFUNTI



    Gli Egizi credevano che il regno dei morti, il Duat, fosse situato in cielo e vi scorresse un fiume, le cui sponde erano popolate da animali feroci e da altri esseri temibili e mostruosi; a dividerlo dalla terra ritenevano vi fosse una catena montuosa. Nella parte del regno che ospitava il Duat il dio Ra si recava ogni sera a bordo della barca detta appunto “del Sole”, che si pensava navigasse giorno e notte nell’universo.

    Per accedere al regno dei morti il defunto doveva passare per Rostau, la necropoli di Giza, considerata la porta d’accesso al Duat. Quest’ultimo non era un luogo privo di pericoli; erano molte le prove che le anime dovevano affrontare, ma c’erano mappe che aiutavano a trovare la giusta strada.
    Le anime che riuscivano a salire sulla barca del dio Sole non dovevano più temere nulla; infatti Ra nel corso della notte andava nel Duat a portare la luce ai defunti e a ridare vita sia a loro sia al loro sovrano indiscusso: Osiride.

    Il regno dei morti era suddiviso in dodici parti, una per ogni ora della notte, descritte nel dettaglio in alcuni testi antichi. Osiride, signore del Duat, aveva autorità sulle divinità dell’oltretomba e giudicava il comportamento dei defunti prima di decidere se ammetterli nel suo regno. Il faraone invece dopo la morte era tutt’uno con Osiride.
    Il custode del regno degli inferi era Sokar, una divinità immaginata come uomo dalla testa di falco.

    Alla morte poteva far seguito una nuova vita solo se il corpo del defunto veniva conservato integro, se gli veniva fornita una casa-tomba e l’occorrente per nutrirsi, vestirsi e adornarsi. L’esistenza ultraterrena aveva una durata illimitata, ma per il resto era molto simile a quella terrena: le tombe erano immaginate come abitazioni e venivano costruite con cura perché dovevano durare in eterno. Il corredo doveva essere deposto il più vicino possibile al defunto e poteva essere di pochi pezzi oppure ricchissimo.
    In origine l’apporto di provviste fresche era ritenuto fondamentale per il benessere del defunto. In un secondo tempo, vennero poste nelle tombe le cosiddette “stele funerarie” su cui era incisa una formula magica che assicurava al morto il necessario.



    Nel timore che nella vita ultraterrena gli dèi potessero imporre di svolgere lavori troppo gravosi gli Egizi del Medio Regno pensarono di farsi accompagnare nella tomba da centinaia di statuette rappresentanti dei lavoratori : gli ushabti. Il termine egizio usheb si traduce con “risposta” e la loro funzione era quella di rispondere a un’eventuale chiamata delle divinità. Su di esse potevano essere incisi il nome del defunto o una formula che le incitava a dichiarasi pronte al lavoro.
    Al momento della sepoltura il sacerdote celebrava il rituale dell’apertura della bocca anche sulle piccole statue degli ushabti al fine di ridare loro vita.
     
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