L'ANTICA E MISTERIOSA ABAKAINON

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    L'ANTICA E MISTERIOSA ABAKAINON



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    Una civiltà misteriosa sorgeva tra queste montagne nel cuore dei Nebrodi siciliani nel messinese. La città di Abakainon sorgeva infatti in una valle sita tra il monte su cui oggi sorge Tripi e l’altopiano di Novara di Sicilia, punto strategico poiché attraversato da più fiumi e sentieri che collegavano la costa ionica a est, da Fiumefreddo e Francavilla e a nord la costa Tirrenica attraverso il Tindari e i famosi laghetti di Marinello, in un’epoca in cui persino l’aspetto orografico era completamente diverso. I primi insediamenti risalgono addirittura al paleolitico superiore (circa 18.000 anni a.C.) fino al neolitico medio, in piena preistoria e poi nell’età del bronzo e alla prima età del ferro fino all’arrivo dei Greci. Gli antichi abacenini furono prodighi nell’instaurare importanti rapporti commerciali proprio con i colonizzatori con la quale scambiavano i prodotti tipici della terra e della pastorizia con manufatti di terracotta e altri utensili più o meno preziosi. Gli abitanti della zona, per lo più contadini e piccoli artigiani, trovarono presto motivo di coalizzarsi con le altre città in terra sicula, dato che i greci avevano un fare politico di per sé dittatoriale che mise in ginocchio gli indigeni locali, pressati da dazi e pesanti imposizioni. Nel 459 a.C queste città si ritrovarono sotto la guida del principe Ducezio, personaggio che si contraddistinse, nel decennio in questione, per il suo carisma e per la forte presa sul popolo. Partito da Noto, nella valle siracusana, organizzò un esercito che arrivava sino alla città di Paternò (Aitna) e Palagonia arrivando a formare uno “stato nello stato” e dando del filo da torcere ai greci. Purtroppo nel 452 perse la battaglia più importante nei pressi di San Cataldo e fu esiliato a Corinto. Ducezio tornerà poi in Sicilia, non molto lontano dalla città di Abacena, proprio nella città costiera di Caronia. Dopo la sconfitta a Noe, l’antica Novara di Sicilia, Abacena dovette scegliere presto un nuovo alleato contro Siracusa e con avventatezza scelse il popolo di Cartagine. Questi furono sconfitti e sottomessi a Dionigi I, tiranno di Siracusa, e Abacena perse parte del suo territorio tra il fiume Timeto e il fiume Oliveri, che oggi costeggiano gli ampi confini del comune tripense. Dionigi, fondatore di Tindari, non è solo ricordato per la diatriba con Platone che sarà determinante nella sua accusa verso la tirannide apparsa sui libri della Repubblica, ma anche perchè è ricordato come uno dei precursori di quell’imperialismo tipico di Alessandro il Grande poi e della Roma Imperiale. Salito al potere riuscì a porre fine alla vita delle polis siciliane e da Siracusa arrivò sino a Enna e Catania e poi a Messina dove sconfisse più volte proprio i Cartaginesi. Tra alcune città da lui fondate vi è sicuramente Tindari, altra perla della civiltà greca in terra sicula, e Adranon. Il suo vasto territorio arrivò sino in terra etrusca a Cerveteri, Taranto e a ovest a Erice, vicino Trapani. Affrontò di nuovo Abacena e i Cartaginesi guidati dal Pretore Magone nella battaglia di Campogrande nel 393 a.C. Quest’ultimo si rifugiò a Tripi dopo la disfatta subita più giù, nella frazione adiacente al Tindari ma Dionigi non osò sfidare l’impervio terreno dei Nebrodi per catturarlo. Dionigi detto Dionisio, si stabilirà in quegli anni con una colonia di Messeni e altri coloni calabresi (provenienti da Locri e Medina) proprio nel territorio del Tindari a pochi chilometri da Abacena, avamposto madre della prima, già in età del Bronzo.


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    I rapporti tra cartaginesi e abacenini si interromperanno definitivamente con l’avvento al potere siracusano di Agatocle nel 316 a.C. Egli fu un tiranno più compiacente verso il popolo e riunì attraverso diverse guerre, l’intera Sicilia divenendone re nel 304 a.C e giungendo ad un accordo con la stessa Cartagine, protagonista in quegli anni di una sanguinosa guerra che portò il nuovo re di Sicilia ad accerchiare la città africana con l’aiuto del re della Cirenaica Ofella. Solo Agrigento riuscì a mantenere il suo predominio e la sua indipendenza, cosa che Abacena non riuscì a fare e, una volta schieratasi con Agatocle fu poi sottomessa dai romani dopo la prima guerra punica e con l’aiuto dei mercenari mamertini, presenti in vasto numero nelle terre messinesi. Abacena si alleerà proprio coi mamertini per un breve periodo, dopo che Pirro, re dell’Epiro, abbandona la Sicilia. Pirro era riuscito a sconfiggere Amilcare, primo grande alleato di Abacena insieme alla lega cartaginese. Quando Gerone, nuovo stratega siracusano, rioccupa Tauromenio, Catania, Centurie ed Agira, attraverso i Peloritani si dirige su Tindari, occupando la vicina Abacena. A seguito della battaglia del Longano Gerone II alla testa dell’esercito siracusano e Cione, comandante dei mamertini, conclusasi cona la sconfitta di questi ultimi, Abacena non compare più come protagonista partecipe della storia isolana. Anzi vive il suo periodo sotto occupazione romana e viene eletta municipium nel 262 a.C. Muta persino il suo nome in Abacaenum o Abacaena. Fu una sottomissione piuttosto libera quella del popolo abaceno che già godeva di splendore sotto l’effige cartaginese e che si ritrovò ancora più organizzata di prima divenendo città nota per il commercio e la ricchezza dei proprietari terrieri. Già a partire dal V secolo a.C. Abacena esercitava il raro diritto di battere propria moneta in maniera del tutto autonoma da Siracusa e Messina. Ma gli anni dello splendore presto si rovesciarono a causa della forte pressione fiscale romana sotto l’esercito di Sesto Pompeo, che condannò la splendida cittadina a una fine senza onori, distrutta da Cesare Ottaviano, futuro imperatore Augusto, nel 36 a.C. Si parla poi di un cataclisma o di un oscuro evento naturale che cancellò le ultime tracce di Abakainon nata intorno il 1100 a.C. Le dominazioni normanne e poi arabe, molto più probabilmente, fecero spostare gli insediamenti rurali della popolazione rimasta più in su in montagna dove sorge l’odierna Tripi e Casale. Secondo lo studioso Diodoro Siculo, Abacena sorgeva “vicino Milae, castello dei Messeni” tra i primi alleati insieme agli abacenini del cartaginese Amilcare. Le tracce storiche della civiltà abacena vengono spazzate via dal tempo e dalla memoria e solo lo storico Maurolico parlerà dell’origine del nome Tripi, città erede di Abakainon, come il secondo nome di uno dei fabbri di Vulcano chiamato Tripium o Steropium, dall’omonimo Ciclope. Nel 1134 compare in un diploma il toponimo “trabilis” riferendosi all’odierna Tripi, dal toponimo “Scabatripolis” dall’articolarsi di tre polis in età bizantina (Piano, Casale e Tripi). Nel 1300 Tripi fu concessa all’ammiraglio Ruggero di Lauria sotto il regno di Pietro d’Aragona e da allora il paese passò di casata in casata, di baronato in baronato e di signorotti e feudatari. Nel 300′ è anche nota la sosta di re Federico II nel castello di Tripi, altro monumento misterioso dell’area, costruito sull’altura più imponente a 610 metri sul livello del mare, che sovrasta l’intero paesaggio circostante. Fu usato come bivacco e poi successivamente come vedetta. L’unico riferimento che si può avere è datato 1154, data in cui il geografo Idris cita per la prima volta la fortezza medievale di cui oggi è possibile apprezzarne i resti delle mura circostanti il palazzo. La storia della storia invece, ci parla attraverso l’archeologia di un importante studio, il primo di questa civiltà scomparsa ma fiorente, intorno il 1550 grazie all’opera di Tommaso Fazello, storico siciliano. Fu lui ad avvistare proprio dal castello di Tripi i resti di un’antica civiltà e a portare alla luce importanti reperti come monete d’argento e di bronzo, riportanti la dicitura Abakain, e poi anfore e frammenti di ceramica. Altre campagne di scavo furono portate avanti dalla Soprintendenza Archeologica di Siracusa nel 1953 e nel 1961 affidate a Francois Villard e Madeleine Cavalier. Studio portato avanti grazie anche al prezioso interessamento dell’Onorevole Santi Furnari, eletto al Parlamento italiano nel 1902 e nato proprio a Tripi e all’Onorevole Francesco Todaro. Villard raccolse numerosi frammenti di ceramica ad impasto con impressioni, riferibili al Neolitico siciliano ed in particolare alla cultura detta di Stentinello, peraltro associati ad industria litica su selce ed ossidiana. Nel livello soprastante erano contenuti frammenti di grandi vasi dell’età del Ferro. Scoprì inoltre un muro risalente all’età ellenistica di 30 metri che nel 1961, in una seconda campagna portata a termine da Madaleine Cavalier, fu scoperto essere molto più lungo, almeno di altri 60 metri. Probabilmente era un muro che recintava l’area pianeggiante ma l’importante ritrovamento, segno più tangibile di una città in epoca greca, fu ricoperto a causa di infiltrazioni di fango ritenute pericolose ed è a tutt’oggi non visitabile dai turisti. Negli stessi anni anche la stampa parlerà di Tripi e di Abacena su 4 articoli: uno del quotidiano “Il Popolo” datato 6 maggio 1961 e tre sul “Secolo d’Italia” datati 20 gennaio, 26 maggio e 7 luglio 1960. Nel primo articolo si legge “…le costruzioni in pietra e mattoni, in terracotta, tirate fuori, si fanno risalire al periodo ellenistico e a quello romano imperiale. Gli scavi hanno portato alla luce numerose monete: alcune sono del tempo di Gerone e portano incise nelle due facce le figure di Giove e del tiranno di Siracusa. Altre sono mamertine con le teste di Eracle, Artemide e Diana”. A tal proposito nella contrada di Santa Caterina è stato rinvenuto uno scheletro della lunghezza di circa 1,80 m., deposto in una tomba, avente la volta rotonda e fatta con mattoni disposti a spina di pesce. Attualmente le monete di Abacena, laddove non sono state perse o peggio rubate, sono custodite nei più famosi musei del mondo tra cui Siracusa, Napoli, Firenze, Parigi, Monaco, Londra, Berlino e New York. In contrada Cardusa sono ripresi dei nuovi scavi negli anni 90′ con la direzione della dottoressa M.G. Bacci sempre ad opera della Sovrintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Messina e col patrocinio dell’Amministrazione comunale di Tripi. E proprio nel 94′ sono arrivati allo scoperto tesori di grandi rilevanza, circa 80 sepolture databili tra la fine del IV e l’inizio del II secolo a.C. Il rito funerario prevedeva come solito all’epoca, sia l’inumazione che l’incenerazione del cadavere.


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    La sepoltura vera e propria è per lo più costituita da una fossa, più di rado di una cassa di lastroni in pietra locale; sempre sormontata da un “epitymbion”, costituito da dado portastele e stele, su cui veniva inciso in caratteri greci, il nome del defunto solo o accompagnato da frasi, come ad esempio la parola kaire, oppure da epiteti che richiamavano la sua appartenenza ad un gruppo familiare e il suo mestiere. Lavori di orificeria importanti sono stati rinvenuti nello stesso sito: diademi, collane, anelli con castone, orecchini, bracciali e altri cimeli che denotano la ricchezza dei defunti. Il tutto è esposto nell’Antiquarium comunale di Tripi che ospita anche alcune introvabili monete di Abacena coniate a più fasi dal 460 a.C come suddetto, fino all’ultimo decennio del III secolo a.C. A questo periodo risalgono le ultime emissioni, ma la città di Abakainon, non cessò di esistere, smise soltanto di coniare monete. Le raffigurazioni simboliche su questi reperti straordinari in argento, sono costituite da un cinghiale o da una scrofa, talvolta attorniati di porcellini e ghiande, unicum nella simbologia della Magna Grecia. Questi animali infatti sono tutt’oggi tipici dell’entroterra tripense e sono il simbolo della caccia e della fecondità. Per avere degli studi rilevanti sulla numismatica abacena bisogna risalire al 1723 quando il nobile palermitano Filippo Paruta, nella terza parte della “Sicilia Numismatica”, alla tavola CXVIII dell’opera, presenta l’incisione di una moneta d’argento e di una pietra incisa raffigurante “Leda e il Cigno”. Interessante osservare come Leda, moglie di Tindaro re d’Etolia, donna bellissima, fu concepita da Giove, trasformatosi per l’occasione in cigno. Dall’unione Leda concepì due uova: dal primo nacque Clitennestra ed Elena, dall’altro uovo Castore e Polluce, chiamati dal nome del padre “putativo”, Tindaridi. Questi ultimi detti anche i Dioscuri, furono protettori dei naviganti e, per questo, scelti quali patroni dei Tindaritani, i quali erano navigatori. Ancora una volta la storia di Abacena incrocia dunque quella del Tindari, sua figliastra marittima già in’epoca preistorica e che sta alla base di quel crocevia di sentieri tra il Tirreno e lo Ionio che ha caratterizzato dall’alba dei tempi la storia siciliana. Altre classificazioni si hanno ad opera di Gabriele Lancillotto Castelli, Principe di Torremuzza nel 1781 e nel 1886 lo studioso palerminato professor Antonino Salinas che fa un sopralluogo a Tripi e pubblica nella rivista di settore “Notizie degli Scavi” (pag. 460 segg.) una breve relazione sui suoi ritrovamenti in particolare di quattro steli con iscrizione in caratteri greci scolpite in pietra arenaria, in tutto analoghe a quelle ritrovate durante le più recenti campagne di scavo degli anni 90′ in contrada Cardusa a nord di Pizzo Cisterna. Le ricerche che ancora oggi continuano grazie al patrocinio della Regione, sono descritte in un saggio apparso sulla rivista Kokalos (tomo II XLIII-XLIV a pagina 335 e segg.) ad opera della dottoressa G.M. Bacci e U.Spigo. Purtroppo diventa via via più complicato risalire alle poche ed altalenanti fonti di questa civiltà così antica e misteriosa poiché tutt’oggi si ignora il punto focale d’origine dei primi insediamenti e parlando con l’attuale amministrazione è evidente lo sforzo di cercare nuova collocazione dei reperti che sono stati scoperti negli anni. La nuova campagna di scavi ha portato alla luce una nuova parte della necropoli sulla parte rocciosa, visibile anche dalla strada che porta al centro del paese e sulla quale si affaccia curiosamente l’attuale cimitero comunale. I segni delle battaglie della Piana hanno lasciato il solco nel tempo anche nella popolazione residente, attaccata come poche alla propria cittadina e alla propria storia millenaria che ha vissuto diverse dominazioni da feudo a borgo a comune. E se gli eventi naturali hanno semmai acuito l’attaccamento di una popolazione di poche centinaia di persone, ci sentiamo di osservare l’astio sempre più forte tra la Tripi alta e la nuova urbe della contrada di Campogrande, poco più in basso e più vicina al Tindari. Un astio che non è stato riparato neanche da un Regio Decreto del 1885 che stanziava dei fondi (L.50.000) per far spostare i tripensi nella contrada di Campogrande dopo il terremoto del 1880, per motivi di sicurezza. Un astio che trova forse le sue oscure origini nell’odio e nel sangue di Cartaginesi e Siracusani, che in quella fetta di montagna di Abakainon hanno fatto la storia, la leggenda e il mito della Sicilia dello splendore

    Fonte facebook: Misteri: Miti, saghe e Leggende
     
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