MALEDIZIONI E PRESAGI SUI ROGHI MEDIEVALI

24 febbraio 2015

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    Riconcentriamoci sull’Inquisizione, dove in Piemonte viene svolta un’intensa attività già descritta fino al XIII secolo in un mio precedente articolo (http://12alle12.it/erano-gli-inquisitori-piemontesi-111144). Prima di passare all’esame dei secoli successivi c’è da fare una premessa. In questi primi secoli di persecuzioni, spesso viene sottolineata l’assurda ferocia delle condanne alle presunte streghe. Bisogna però considerare che alcune inquietanti, quanto poi vere, dichiarazioni di uomini e donne sul punto di essere arsi sul rogo, si rivelano sconcertanti ancora oggi. Essi fanno presagi pubblicamente nella disperazione della morte imminente, o scagliano maledizioni che poi incredibilmente si avverano. Anche l’operato di alcune “maghe”, a volte, è talmente palese nei suoi risultati, che oltre a sbalordire, alimenta, e se vogliamo, giustifica il prosieguo dell’azione dell’Inquisitore.

    Quello dei Cavalieri Templari, per esempio, è un noto e drammatico caso di persecuzione, tortura e condanne a morte di religiosi che si dichiaravano assolutamente estranei alle accuse di pratiche occulte. Però, il Gran Maestro Jacques de Molay, quando fu condannato al rogo il 18 marzo 1314, a Parigi, nel punto dove si trova attualmente Place Dauphine, mentre le fiamme stavano per avvolgerlo, gridò le seguenti frasi affinchè tutti i presenti potessero sentirle: “O Pontefice Romano, ti dò quaranta giorni di tempo per trovarti accanto a me davanti al Tribunale di Dio. E tu, mio Re, Filippo, ti perdono. Ma è inutile, la tua sorte è segnata, entro quest’anno devi morire e presentarti anche tu al Tribunale del Signore”. Il Papa morì a Lione il 20 aprile, il Re morì a Fontainebleau il 29 novembre. Ultimamente si vuole a tutti i costi dimostrare che questo particolare avvenimento sia frutto di fantasie o un’enorme mistificazione. Personalmente penso che per una volta in cui la Storia è stata chiara, con data, luogo, centinaia di testimoni e seri Cronisti, non certo di parte, che annotano e ci tramandano tutto, noi non vogliamo credergli. Per fortuna o purtroppo il fatto rimane: Jacques De Molay disse quelle parole e quelle persone morirono: non ci serve sapere altro.

    E che dire della “Strega del Duomo”? Siamo a Torino nel giorno di Pasqua dell’anno 662 d.C. Il duca longobardo Garipaldo si sta recando al Duomo per la funzione con il suo seguito. Un congiunto di Godeperto, suo rivale assassinato a Pavia, è nascosto nei pressi del Battistero (allora, a Torino, in quel punto, le chiese erano tre). Quando il Duca gli passa accanto, egli estrae una corta daga e lo pugnala a morte. Nel compiere l’assassinio scivola a terra ed è subito trafitto dalle lame degli armigeri. In quei giorni, una non bene identificata strega, stava per essere arsa sul rogo come eretica in un’altra piazza della città. Prima che le fiamme vengano appiccate, la donna “vede il Duomo bagnato due volte di sangue in uno stesso giorno”. Possibile che sapesse già tutto prima? Tanto più che si trattava di un delitto organizzato e compiuto tra famiglie reali e quindi a maggior ragione doveva rimanere segreto per preservarne l’effetto sorpresa e lo scompiglio che doveva seguirne. Ma la strega ebbe la visione, lo disse pubblicamente e di nuovo il fatto si avverò.

    Sempre a Torino, il 12 giugno 1630, in un palazzo che sorgeva in Contrada Trincotto Grondona, l’attuale via XX settembre, di nuovo nei pressi della Cattedrale, si celebrò un rito per eliminare un importante personaggio di Corte. La cerimonia è descritta dal cronista Gismond Gonnet e si svolse in un locale sotterraneo del palazzo. Erano presenti diversi esponenti della nobiltà, tra cui le contesse Kenoque e Maillard, la marchesa di San Ramberto, madamigella La Vallette e la baronessa di Grancey. La cerimonia, con i suoi sacrifici e le sue invocazioni, venne ripetuta per tre volte. Fu il caso oppure il rito funzionò, fatto sta che il personaggio, mentre si trovava a Corte per una importante udienza, si accasciò improvvisamente al suolo senza vita.

    E’ ovvio che tutti questi avvenimenti andavano a favore dell’Inquisizione, sostenendo apertamente e senza contrasti interni, la lotta contro il demonio. Dal Quattordicesimo al Sedicesimo secolo, la passione per le arti stregonesche prese uno sviluppo impressionante e dai boschi si trasferì in castelli e palazzi, così, tra quelle impenetrabili mura, maghi e streghe appartenenti alla nobiltà elaborarono filtri e incantesimi, ma soprattutto, a prosperare , furono i riti di magia nera. La contessa di Grammont, la duchessa di Valmy, finirono imprigionate a vita per stregoneria, mentre la marchesa di Brinvilliers lasciò la testa sul ceppo. Qualche mese dopo l’esecuzione vennero rinvenuti in un ripostiglio segreto del suo castello di Saint Germain dei libri che comprendevano vari settori della stregoneria nera, con un prontuario di veleni e droghe da usare in alcune cerimonie. Intanto, anche sull’antico rito del “Sabba” dei boschi vengono fatte indagini più approfondite da parte della Chiesa. La maggior parte delle autorità inquirenti concordavano nell’affermare che le streghe potessero volare cospargendosi il corpo con uno speciale unguento. Noi oggi pensiamo siano tutte fandonie, ma il medico olandese Johan Weyer, nel sedicesimo secolo, non la pensava così e riuscì ad impossessarsi di questo unguento e ad analizzarlo. Vide che era composto di aconito, belladonna, oppio, mescolato a grasso. L’effetto di quelle droghe, naturalmente, era di provocare delle allucinazioni con uno stato di eccitazione e delirio. Venne fatta una prova dal frate Johannes Nider con l’assistenza del medico Weyer su una giovane donna che cadde in uno stato di dormiveglia. Più tardi narrò di aver volato e non vi fu verso di convincerla che non si era mossa dalla sua camera.

    Tutto questo ci dimostra che non sempre il mago era lo “scemo del villaggio” e la strega una povera demente; anzi, questi riti, a volte, erano voluti, desiderati, e, coltivatene le arti, messi in pratica con scopi precisi. Ciò che la Chiesa non riusciva proprio a comprendere è che stava combattendo una guerra su un campo che lei stessa aveva creato, riconoscendo, seppur con molta attenzione, i miracoli o le apparizioni. E non sono forse queste, manifestazioni magiche a cui non si riesce dare una spiegazione? Secondo loro è Dio che le permette. Però mi sovviene un dubbio. Se San Francesco non fosse stato un Francescano, come avrebbero interpretato gli Inquisitori della sua epoca, l’incredibile rapporto che egli aveva con il regno animale: divino o diabolico?

    Fonte: 12alle12.it
     
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