Posts written by Selene_Moon

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    I CAPELLI D'ANGELO



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    I "Capelli d’Angelo" ( o "Angel’s Hair" ) sono dei filamenti biancastri molto sottili, che molto spesso vengono visti cadere dal cielo o formarsi a terra. Il filo conduttore che sembrano avere i vari ritrovamenti è che la loro scoperta si fa durante un avvistamento di oggetti volanti non identificati o subito dopo.
    Questi filamenti sembrano essere volatili e facilmente deteriorabili: se manipolati o se subiscono urti, anche di lieve identità, si dissolvono senza lasciare traccia. Anche a livello chimico-organico perdono ogni caratteristica dopo pochi secondi dalla loro decomposizione.
    Sono stati per la prima volta documentati nel 1952 nei pressi di Oloron e Gaillac, in Francia, ma si posso trovare numerose descrizioni di avvistamenti simili anche secoli prima.
    Nel 1954 avvenne il primo ritrovamento documentato in Italia, nella zona di Gela, in Sicilia. In pieno giorno da un paio di grandi ordigni volanti cilindrici di apparenza metallica si staccarono oggetti più piccoli a forma di disco, simili al pianeta Saturno. Nel contempo dal cielo cadeva una sostanza biancastra e filamentosa simile a sfilacci di lana.
    In quel caso uno studioso del CUN riuscì a prelevarne alcuni e a conservarli intatti in contenitori di plastica. Il giorno seguente, tramite il Segretario del CUN Vladimiro Bibolotti, li fece recapitare a Parma nelle mani del biologo Giorgio Pattera per farli analizzare.
    In un Laboratorio del CNR vennero eseguiti tutti i test necessari, fino a quando i Capelli d'Angelo non si dissolsero. I risultati furono comunicati direttamente dal Presidente del CUN, Roberto Pinotti.
    Il materiale, della consistenza della seta, non era in alcun modo riconducibile a composti minerali (tipo silicio, amianto, mica, etc.), ma con buona probabilità a filamenti di origine organica, ovvero a base di composti del carbonio. Si riscontrò che i filamenti (alcuni singoli ed isolati, altri avvolti a matassa) rifrangevano la luce incidente come un prisma, scomponendola nei colori dello spettro. Inoltre tali filamenti apparivano come il risultato dell' azione di un'elevata temperatura su di un materiale plastico ( rimasto non identificato) .
    I Capelli d’Angelo oggi tende a discostarsi dalla teoria ufologica: l'ipotesi scientifica più accredita è che non siano altro che “una specie di seta di ragno”, una sostanza leggermente diversa dalla ragnatela, molto più sottile e fine, che i ragni utilizzerebbero per spostarsi da una zona all’altra sfruttando le correnti ascensionali.
    Questa ipotesi lascia comunque molte perplessità almeno per due motivi: la dissolvenza quasi immediata al tocco e la strana coincidenza del fenomeno con gli avvistamenti di oggetti volanti non identificati.
    I ritrovamenti più recenti in Italia sono avvenuti il 10 ottobre 2001 nel cielo della capitale: verso le 20 un copioso quantitativo di misteriosi filamenti biancastri venne visto cadere dal cielo, in concomitanza col velocissimo transito ad alta quota di una formazione di oggetti volanti non identificati, puntiformi e luminosi. Un identico fenomeno è stato segnalato dopo circa due ore pure su Grosseto e in provincia di Arezzo. Nel 2003 ci fu un altro ritrovamento nei pressi di Voghera, ma nessuno vide oggetti volanti non identificati in zona ne prima ne dopo.
    Cosa sono realmente i Capelli d'Angelo? Sostanza aliena, ragnatele di ragni migratori o materiale usato in ambito militare come contromisura per trarre in inganno il sistema di puntamento degli aerei ( altra accreditata ipotesi)? Ne sappiamo ancora troppo poco per dirlo con certezza.

    Fonte facebook: Misteri dal Mondo - Credere Per Vedere
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    LUOGHI INFESTATI: IL RIDGE HOSPITAL



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    20 marzo 1882. Il Dr. Robert Koch annuncia al mondo la scoperta del batterio di una delle malattie più letali per l'uomo: la tubercolosi (TBC). Oggi alla maggior parte di noi questa data dice poco perché la maggior parte della popolazione mondiale è vaccinata e la malattia nei paesi industrializzati non crea grandi preoccupazioni, ma già solo il fatto che Il 24 marzo ricorre la Giornata Mondiale della Tubercolosi dovrebbe farci capire quanto quel giorno cambiò in meglio la nostra esistenza.
    A differenza del vaiolo, della peste e di altre terribili malattie che hanno decimato l'umanità, la TBC non è mai stata completamente debellata: ogni anno 8 milioni di persone contraggono la tubercolosi e di queste circa 2 milioni muoiono. La tubercolosi è una malattia molto infettiva e richiede l’isolamento dei pazienti per evitare l'epidemia. Nei secoli scorsi, quando la tubercolosi era molto diffusa, i pazienti venivano isolati e ricoverati in ospedali o padiglioni appositi, dove spesso venivano dimenticati persino dai parenti. La paura di contagio era tale che nessuno andava a trovarli e in alcuni ospedali gli ammalati diventavano cavie per crudelissimi esperimenti medici.
    Ad Athens, in Ohio, c’è un particolare ospedale, il Ridges Hospital, che ha avuto proprio al funzione di accogliere i malati di TBC e oggi la fama di essere infestato dai fantasmi dei malati morti al suo interno.
    Eppure c'è da dire che inizialmente il Ridges era considerato uno degli ospedali dal trattamento più " umano". Venne aperto nel 1874 come ospedale psichiatrico e adottò metodi rivoluzionari per l’epoca nel trattamento delle malattie mentali: i pazienti erano considerati come veri esseri umani e vivevano in un ambiente più simile ad una casa che ad un ospedale. Perchè ricoverare i malati di tubercolosi? Semplicemente perchè gli ospedali psichiatrici erano quelli più isolati e per questo chiudendovi dentro i malati si poteva evitare i contatti con l’esterno e la diffusione del male.
    I malati ricoverati al Ridges erano tra gli unici che mostravano reali segni di miglioramento, cosa che in qualche modo ha causato la rovina del luogo: sempre più persone fecero domanda per essere accettati e alla fine l'ospedale raggiunse il sovraffollamento. Alcuni pazienti in realtà venivano rinchiusi nell’ospedale più per motivi di convenienza familiare che per reali problemi mentali e tutto ciò portò all'inevitabile trattamento da carcerati. All'iniziò del 1900 la struttura era ormai divenuta famosa per le condizioni disumane e gli abusi sui pazienti da parte del personale.
    Al piano terra vi erano camere operatorie, studi e camere per i pazienti "più facoltosi". Il padiglione dedicato ai malati di tubercolosi era situato lontano e isolato, ufficialmente per evitare il contagio, ma in realtà per non mostrare ad eventuali visitatori gli orrori causati dalla malattia e dalle condizioni in cui erano tenuti i pazienti. Il secondo piano è costituito da tante piccole stanze chiuse come celle con sbarre metalliche, dove i malati venivano tenuti in isolamento. Come ho detto l'ospedale, oltre alle persone malate di tubercolosi annoverava tra gli internati persone praticamente sane, alcune con scuse come la menopausa, l’epilessia o per essere un adolescenza troppo ribelle.
    L'istituto venne chiuso nel 1980: Reagan chiuse molti ospedali dello stato per motivi di bilancio economico. Molti dei internati furono semplicemente liberati per le strade e ora rappresentano gran parte della popolazione di Athens, molti dei quali sono senzatetto. L'Ohio University acquisì la maggior parte dei campus dell'istituzione nel 1993 e molti degli edifici vennero pensati per essere utilizzati come edifici amministrativi. Molti degli edifici però sono ancora in sfacelo e in attesa di ristrutturazione, così solo gruppi di ragazzi annoiati o di Ghost Hunters osano metterci piede alla ricerca di forti emozioni. Le storie sulle atrocità spaventose e il trattamento che vennero costretti a sopportare i detenuti dell'ospedale sono giunte in ogni parte degli Stati Uniti e non è raro che le autorità debbano intervenire di notte per cacciare i curiosi che cercano di immortalare qualche evento paranormale.
    In effetti la fama della struttura, oltre ad essere sinistra per il suo passato, è anche quella di essere uno degli istituti più infestati degli USA.
    Alcuni "curiosi" raccontano storie di oggetti che volano fuori dalle celle al secondo piano per schiantarsi contro le pareti, delle che porte misteriosamente si aprono e si chiudono, di rumori metallici provenienti dalle cantine, tavoli e sedie che si sollevano dai pavimenti, e l'apparizione del fantasma di una giovane ragazza con il volto deturpato dalla malattia che si aggira al piano terra.
    Un punto focale degli avvistamenti di creature sovrannaturali è il cimitero situato ai margini del parco, come un triste ricordo del passato dell'istituzione. File e file di tombe perfettamente allineate: le fosse dei detenuti meno ricchi non furono nemmeno forniti della dignità di una tomba marcata. Ogni tomba contiene una piccola pietra incisa con niente di più che il numero dei pazienti assegnati dalla struttura. In una zona del cimitero, tra le righe perfettamente diritte di tombe senza nome, vi è una disposizione circolare di pietre tombali, un luogo di incontro preferito per le odierne streghe e gruppi che di tanto in tanto celebrano strani rituali. I residenti nell'area sono ormai abbastanza abituati agli strani rumori, alle apparizioni di fantasmi e strane sparizioni che si sono verificate nei pressi del cimitero, che sarebbero nient'altro che le anime disperate che non riesconoa trovare conforto nemmeno dopo la morte.
    Un'altra delle storie che si racconta sul Ridges Hospital riguarda Margaret Schilling, una paziente psichiatrica che il 1° dicembre 1978 scomparve dal reparto dove era ricoverata. Il 12 gennaio 1979 il suo corpo fu ritrovato nel padiglione dei tubercolosi, ormai chiuso da anni. La donna si era chiusa nell’edificio abbandonato e il personale non pensò di andare a cercarla nel reparto in disuso. La donna e perì quasi certamente per il freddo, ma prima di morire si tolse tutti i vestiti e li piegò ordinatamente vicino a sé. La cosa davvero enigmatica però è che il suo corpo ha lasciato una macchia indelebile sul pavimento di cemento, visibile ancora oggi.
    Si dice che Margaret Schilling si aggiri nell’edificio durante la notte, così come altri pazienti morti nell’ospedale. Storie di pazienti tenuti incatenati nelle cantine alimentano queste voci, che contribuiscono a definire il Ridges uno dei luoghi più infestati al mondo.

    Fonte facebook: Misteri dal Mondo - Credere Per Vedere
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    IL JINN, SIGNORE DEI DESIDERI



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    «Creammo l’uomo con argilla secca, tratta da mota impastata. E in precedenza creammo i Jinn dal fuoco di un vento bruciante». (Corano XV. Al-Hijr, 26-27)
    Nel Corano si narra di creature chiamate "Jinn" (che gli italiani hanno tradotto in “Genio” e gli inglsi in "Djinn"), creature sovrannaturali originate all’inizio dei tempi per volontà di Allah affinché lo adorassero. Questi esseri si muovono a metà fra il mondo angelico e quello umano, pur essendo differenti sia dagli uomini che dagli angeli. Di fatto contrariamente ai primi, originati dalla terra, e ai secondi che nascono dalla luce, i Jinn sono stati creati dalla fiamma di un fuoco senza fumo.
    Una curiosità, che spesso ha fatto riflettere gli studiosi, è che il termine stesso si avvicini foneticamente a Gehenna, il luogo infuocato immaginato dall'Ebraismo dove le anime cattive sarebbero state purificate.
    In età preislamica (jāhiliyya) i Jinn erano creature di incalcolabile potenza, quasi sempre in grado di esprimere una devastante e spesso mortale cattiveria. Secondo la tradizione islamica gli spiriti abitano i luoghi in rovina, abbandonati dall'uomo da tempo.
    I Jinn sono spiriti invisibili agli occhi dell'uomo, ma ugualmente vivono e muoiono, si sposano e si riproducono, hanno intelligenza e libero arbitrio, e possono dunque scegliere fra il vero e il falso, il giusto e l'ingiusto, il bene e il male.
    Ciò che li distingue dall'umanità sono i poteri e le abilità di cui sono dotati. I Jinn possono assumere qualsiasi forma fisica, quindi comparire come esseri umani, alberi e animali. Possono soggiogare e impossessarsi delle menti e dei corpi di altre creature; riescono ad attraversare lunghe distanze in poco tempo, e creare qualsiasi oggetto terreno. A differenza di quanto molti pensano, però non possono prevedere il futuro.
    Sempre secondo le credenze islamiche i Jinn sono divisi in tre grandi dinastie:
    - I Jinn eterei, che sono invisibili e si spostano con le correnti dei venti. Sono i più potenti e difficili da incontrare per via del loro carattere superbo e arrogante.
    - I Jinn animaleschi, che assumono sembianze di animali per studiare e a volte aiutare l'uomo. Le loro forme preferite sono le sembianze di serpente o cane.
    - I Jinn relegati o soggetti a costrizioni, che si spostano all'interno di un luogo limitato per ordine di qualcuno o per una restrizione imposta da Dio ( il classico esempio è il genio della lampada).

    Fatta questa distinzione bisogna però distinguerli dal carattere e dalle attitudini:
    - Quelli che non hanno nessuna particolarità vengono comunemente chiamati Jinni;
    - Quelli che abitano insieme agli uomini si chiamano 'Imar (al singolare ‘amir);
    - Quelli che vedono i bambini sono chiamati Arwah (al singolare ruh);
    - Quelli cattivi originati dalla luce o dal fuoco vengono considerati satanici e quindi detti Shayatin (al singolare shaytan);
    - Quelli chiamati Marid vengono spesso descritti come i più arroganti e orgogliosi tipi di Jinn. Hanno la capacità di esaudire i desideri dei mortali, nonostante siano legati a rituali per invocarli o imprigionarli.
    - Quelli più potenti e diabolici sono nominati ‘Ifarit (al singolare ‘ifrit), conosciuti come spiriti del fuoco. Essi appaiono come uomini di eccezionale forza e si considerano superiori alle altre creature perché convinti della loro primigenia creazione, quindi soffrono molto il fatto che alcuni umani abbiano trovato delle formule magiche capaci di garantire il controllo su di loro. Quando interpellati mostrano un atteggiamento ironico e malizioso e tentano ogni volta che possono di travisare gli ordini del proprio padrone.

    Proprio i Jinn più malvagi trovano ampia descrizione negli scritti islamici. Secondo la tradizione questi incitano la gente ad adorare altri Dei oltre ad Allah, con l'obiettivo di far cadere l'umanità nel caos. Per un occhio attento l' Ifrit è facilmente individuabile da alcuni comportamenti tipici: mangia con la mano sinistra, si riunisce al crepuscolo coi suoi simili, predilige luoghi di decadenza come i cimiteri e le rovine, ama la corruzione, l'odio, la disubbidienza e la malvagità. Si può avvertire la presenza dell'Ifrit perchè, pur essendo invisibile, entra nelle case in cui le persone vivono e raffredda l'aria attorno a se, facendo percepire i brividi a chi gli è vicino. inoltre non riesce a nascondere perfettamente l'ombra, che risulta a volte visibile negli angoli della casa rivolti alla Mecca.

    Dal Corano possiamo scoprire la storia dei Jinn. I Jinn furono i primi esseri che abitarono la terra, ma sparsero corruzione uccidendosi l’un l’altro. Dio allora mandò contro di loro un esercito di nuovi Jinn, angeli creati dal fuoco. Al loro comando c’era Azazil (al–harith), un Jinn dall'aspetto bellissimo che risiedeva in cielo durante la notte e sulla terra durante il giorno e che custodiva il tesoro del paradiso. Ma quando Dio creò Adamo chiese agli angeli di prostrarsi di fronte a quell'essere di fango: tutti ubbidirono tranne Azazil che rifiutò ritenendo Adamo inferiore a lui in quanto fatto di terra e non del divino fuoco. Dio allora punì Azazil facendolo diventare un ribelle lapidato (shaytān rajim) e da allora il suo nome divenne Iblis che significa afflitto, disperato.
    I Jinn, pur essendo creature con poteri superiori rispetto all'uomo, sono da Lui giudicati allo stesso modo degli umani. Nel caso in cui un Jinn dovesse arrecare un grave danno a uno o più esseri umani sarà ritenuto da Allah responsabile delle proprie azioni. Di conseguenza i Jinn staranno in Paradiso allo stesso modo degli umani, in proporzione alla loro condotta su questa terra. E quando arriverà il momento del Giudizio Universale i Jinn malvagi saranno puniti alla stregua di noi umani.
    Nella mitologia medio-orientale i Jinn appaiono spesso. La leggenda più famosa narra che re Salomone possedeva un anello, che assumeva anche la forma di un diamante, con cui chiamava i Jinn ad aiutare i suoi eserciti in battaglia. Attraverso la magia e l’aiuto di questo mistico oggetto riusciva a dominarli.
    Innegabile comunque è il fascino che questi esseri hanno esercitato su molte culture attraverso i secoli. In Occidente sono stati conosciuti grazie alla celebre raccolta di novelle del X secolo ” Le Mille e una notte” nella quale il protagonista, Aladino, libera da una lampada nella quale vi è rimasto prigioniero, un Jinn. Quest’ultimo in cambio della libertà ottenuta, accetta di esaudire tutti i desideri di Aladino. Di qui l’idea che i “geni” siano in grado di accordare ai propri padroni o coloro che li hanno liberati la possibilità di vedere realizzati i propri desideri.

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    QUADRI MALEDETTI: "LOVE LETTERS"



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    Sicuramente tra le mie doti non annovero quella di estimatore di quadri, e a dirla tutta non sono nemmeno un gran appassionato. Tuttavia di tanto in tanto mi capita di apprezzare alcuni dipinti che oggettivamente sono davvero ben fatti.
    Vi è mai capitato di osservare un quadro ed avere la sensazione che sia quasi " vivo"? E' solo un po' di suggestione, ovviamente, ma alcune opere maledette danno proprio la sensazione che il soggetto si sposti o fissi chi lo guarda troppo a lungo. Questo è il caso del quadro di cui sto per parlarvi.
    Se doveste andare in Texas vi consiglio di alloggiare al Driskill Hotel, un edificio storico nel centro di Austin. Inaugurato nel 1886 dal colonnello Jesse Driskill, lo perse l'anno dopo a poker. Nel 1890, orami un uomo distrutto dai debiti, il giocatore d'azzardo si tolse la vita e alcuni credono che la sua anima tormentata compaia occasionale nelle stanze degli ospiti dell'hotel. Nessuno però, a parte chi ci lavora, ha mai visto questo presunto fantasma che infesterebbe la struttura.
    La cosa che però hanno notato tutti è un quadro di una bambina che è stato appeso nei corridoi dell'ultimo piano dell'albergo. Questo quadro è stato dipinto in ricordo di una triste storia, che riguarda addirittura la figlia di un politico molto influente degli USA.
    Siamo nel 1887, proprio all'interno del Driskill Hotel. Samantha Houston, che era la figlia di un senatore degli Stati Uniti stava giocando con la sua palla nei corridoi dell'hotel. La bambina, di soli 4 anni, probabilmente inseguì la palla lungo la grande scalinata della struttura, ma inciampò e cadde rompendosi la spina dorsale. Nonostante i repentini soccorsi la bambina morì ancora prima di raggiungere l'ospedale. Costernato per l'accaduto, il proprietario dell'hotel volle omaggiare il senatore e in ricordo della piccola Samantha commissionò un suo ritratto, che pende ancora oggi sul muro del quinto piano.
    In realtà non è proprio vero: quella che oggi è appesa nell'hotel è una replica moderna di Richard King del quadro commissionato, dal titolo "Love Letters" di Charles Trevor Garland (1855-1906). Il dipinto originale è in realtà tenuto custodito nella cassaforte dell'hotel stesso.
    Il dipinto mostra Samantha che sorride dolcemente mentre tiene in mano un mazzo di fiori e stringe una lettera nell'altra. Alcuni visitatori che hanno osservato questo quadro sostengono che se lo si fissa per troppo a lungo si inizia a provare l'inquietante sensazione di vertigini o nausea, mentre alcuni riferiscono di provare una strana sensazione confusione, come di smarrimento o alterazione della percezione visiva.
    In passato gli odierni proprietari del Driskill Hotel, in seguito a numerose segnalazioni di fenomeni strani al quinto piano, si sono rivolti ad un gruppo di medium, che hanno indagato sulla questione. Sono stati tutti d'accordo nel dire che Samantha cerca di comunicare attraverso la pittura e che se la si fissa abbastanza a lungo, chiunque può notare alcuni piccoli cambiamenti di espressione. Hanno detto poi di aver avvertito la sua presenza anche nel resto dell'albergo, e in particolare le sue risate infantili e il rumore della sua palla che rimbalza giù per le scale.
    A queste testimonianze dobbiamo poi aggiungere quelle da parte del personale e dei visitatori, che spesso parlano di un "burlone" che blocca gli ascensori, che sposta mobili e letti nelle camere degli ospiti quando non ci sono, scuote gli ospiti nei loro letti, e che spesso sparge i loro averi in giro per la camera.
    Uno degli ospiti che ha detto di aver soggiornato nella camera 525 dell'albergo nel 2002 ha raccontato un aneddoto:
    <<due anni fa ho soggiornato presso l'hotel e sono stato spinto più volte alle spalle mentre facevo al doccia da un essere invisibile. Siccome ho una bambina di tre anni a cui piace fare scherzi del genere ho usato lo stesso stratagemma che uso con lei per tenerla buona: e ho dato le caramelle. Ho lasciato tre caramelle alla frutta sul comodino della mia stanza e l'attività si è fermata!>>

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    OGGETTI MALEDETTI: LA DONNA DI LEMB



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    La Donna di Lemb, meglio conosciuta come la "Statua della Dea della Morte", è un curioso manufatto risalente al 3500 a.C scoperto nell’area di Lemb (Cipro) nel 1878. Questa statuetta, annoverata tra gli oggetti maledetti, è interamente scolpita in pietra calcarea e probabilmente era destinata al culto di una dea (anche se tutt’ora è solo un’ipotesi). La cosa certa è che il manufatto ricorda molto le statue della fertilità risalenti a periodi paleolitici.
    La fama di questa statuetta non è tanto legata al valore storico ed archeologico del manufatto, bensì alla serie di sfortunati eventi che sono capitati ai suoi possessori. Storie che l’hanno fatta rientrare nel lungo elenco di oggetti maledetti.
    Le cronache ci raccontano che questa statuetta, prima di approdare al Royal Scottish Museum, è stata “ospite” di quattro famiglie che hanno avuto un destino infelice e prematuramente spezzato.
    Lord Elphont fu il primo proprietario. Dopo aver acquistato il manufatto, nei sei anni successivi, i sette membri della famiglia Elphont morirono in circostanze alquanto singolari: le cronache di allora ci raccontano di morti avvenute per malattie improvvise o per tragici incidenti.
    Il secondo proprietario Ivor Menucci non ebbe un destino tanto diverso rispetto alla famiglia di Lord Elphont: sia lui che gli altri membri della famiglia morirono nel giro di quattro anni ed anche se le cronache del tempo non specificano queste morti gli archivi mortuari ci confermano la tragica fine di questa famiglia.
    Sorte identica toccò al terzo proprietario Lord Thompson-Noel e alla sua famiglia. che come i Menucci, perirono nel giro di quattro anni.
    A seguito della morte della famiglia Thompson-Noel della statua si persero le tracce. Rincoparve una trentina di anni dopo e il nuovo proprietario fu Sir Alan Biverbrook. La maledizione si abbatté anche sui Biverbrook: padre, madre e due figlie nel giro di due anni morirono in situazioni analoghe ai precedenti proprietari. Convinti della maledizione i due figli sopravvissuti di Sir Alan Biverbrook decisero di donare la statuetta al Royal Scottish Museum di Edimburgo in Scozia.
    Fatto strano, coincidenza, se la volete chiamare così, fu che il gestore del museo che decise di accogliere la statua, dopo un anno morì a seguito di un incidente.

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    LUOGHI INFESTATI: HAMPTON COURT



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    Considerato fin dall’inizio un vero e proprio palazzo reale, Hampton Court venne edificato come residenza privata dal Lord Cancelliere di Enrico VIII, il vescovo Thomas Wolsey.
    Vero arbitro e burattinaio della politica inglese per almeno un decennio ( tra il 1518 e il 1529,) invece di guadagnarsi il favore incondizionato del sovrano che serviva senza alcuna riserva, Wolsey se ne attirò l’invidia e la rabbia, dapprima costruendo il palazzo di Hampton Court , la più bella e sfarzosa tra le dimore nobiliari dell’epoca , poi rifiutandogli il “favore” di annullare il matrimonio con Caterina d’Aragona.
    Enrico VIII, che era tutto tranne benevolo, si vendicò convocando il Cancelliere a rispondere di un’accusa di tradimento.Avendo capito che le cose si mettevano male, invece di recarsi a corte, da dove sarebbe poi stato probabilmente trasferito nella Torre di Londra e giustiziato, Wolsey fuggì a Leicester, città nella quale i suoi malanni lo costrinsero a fermarsi fino alla morte, avvenuta pochi mesi più tardi.
    Prima ancora che spirasse Enrico VIII si impadronì di Hampton Court dove avrebbe, da allora in avanti, portato tutte le sue mogli e i suoi figli, costringendo la maggior parte di loro a subire crudeltà, capricci e bizzarrie.
    Particolare, tra le altre, fu la storia di Catherine Howard, giovane cugina di Anna Bolena (seconda moglie del re), che, forzata a un matrimonio con un sovrano molto più anziano di lei, finì per innamorarsi di un giovane di corte, tal Thomas Culperer. Con quest’ultimo intrecciò una relazione che si fece sempre più intensa e non sfuggì agli occhi attenti degli altri componenti del seguito reale, i quali pensarono bene di avvertire Enrico VIII.
    Questi, tornato una volta all’improvviso ad Hampton Court, sorprese sul fatto i due amanti e decise all’istante del loro destino: condannò a morte Culperer e segregò Catherine nelle sue stanze, con la proibizione assoluta di lasciarle. Dopo un tentativo finito male della ragazza di eludere la sorveglianza, il re dette ordine di chiuderla nella Torre, dove la donna avrebbe finito i suoi giorni a soli 20 anni, il 13 febbraio 1542.
    Circa cento cinquant’anni più tardi il fantasma di Catherine Howard sarebbe stato visto per la prima volta lungo quel corridoio. Ma non sarebbe stato che dalla fine dell’Ottocento che le segnalazioni di visioni spettrali, di suoni di urla e pianti, di colpi e singhiozzi perfettamente in accordo con la triste vicenda di quella moglie di Enrico VIII, si sarebbero moltiplicate a dismisura, provenendo sia dai visitatori occasionali del palazzo, sia dal personale impiegato per la manutenzione dell’edificio.
    Una compilazione delle sole testimonianze su quel fantasma relative al Novecento ammonta a diverse decine di casi, che hanno in comune la breve durata dell’apparizione: non più di pochissimi secondi, appena il tempo di scorgere la sagoma e i lineamenti generali della figura, di solito una “dama bianca”, ma non di osservarla in volto e riconoscerla davvero per l’immagine della giovane donna, il cui ritratto è tuttora appeso in una delle ali laterali del palazzo.
    Un’altra presenza che, di tanto in tanto, è stata osservata in varie sale è quella di Sybil Penn, ovvero colei che si prese cura del figlio di Enrico VIII, Edward, rimasto orfano a pochi giorni dalla nascita per la morte della madre. Donna di grandi capacità e molto attaccata al suo compito di madre adottiva, questa governante abitò nel palazzo anche dopo la morte di Edoardo VI, perché la regina Elisabetta ne aveva un’alta stima e molti componenti della corte le si erano affezionati. Nel 1562 sia lei che la regina furono colpite dal vaiolo ma, mentre la sovrana guarì, Sybil Penn rimase vittima della malattia. Il suo corpo venne sepolto nella chiesa di St. Mary, dove sarebbe rimasto fino agli anni Venti dell’Ottocento, quando l’edificio sacro fu demolito e le ossa di tutti coloro che vi erano stati sepolti finirono disperse.
    Fu esattamente da quell’epoca che cominciarono a susseguirsi testimonianze sulla comparsa, ad Hampton Court, di uno spettro femminile che chiedeva una sepoltura in terra consacrata.
    Oltre che nel Corridoio infestato e nell’appartamento di Sybil Penn, comunque, visioni e impressioni di suoni e rumori sembra abbiano avuto luogo anche nelle Stanze di re Giorgio, lungo uno scalone (ma qui, ad apparire, sarebbe stata non una figura femminile, bensì quella di un cane) e in un cortile interno del palazzo, dove qualcuno disse di avere intravisto due cavalieri impegnati in un duello.

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    LA STORIA DI "CHARLIE NO FACE"



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    Nell’area di Pittsburgh, in Pennsylvania, circola una leggenda metropolitana, quella del Green Man, chiamato anche "Charlie No Face". Si tratta di una creatura mostruosa, un uomo senza faccia che si aggira di notte lungo le strade meno battute, alla ricerca di una vittima a cui rubare il volto che gli manca. È la classica storia che si racconta attorno al fuoco di un campeggio, o ai bambini per minacciarli se non fanno i bravi:
    <<se resti fuori dopo il tramonto, Charlie No Face verrà a prenderti!>>.
    Spesso le leggende come questa si basano su fatti realmente accaduti, poi modificate in modo che facciano più paura. Ma l'uomo senza faccia è vissuto davvero e si chiamava Raymond Robinson.
    Nel 1918 Raymond Robinson era un bambino di 8 anni come tanti altri, forse solo un po' più vivace della maggior parte di loro. Un giorno Raymond uscì di casa per andare a giocare con i suoi amici nelle strade di Pittsburgh. La voglia di esplorare dei bambini, mista ad un po' di incoscienza e alla propensione per le marachelle, portarono il gruppetto di ragazzini nei pressi del ponte di Wallace Run, dove l’anno precedente si era consumata una terribile tragedia: un bambino era rimasto folgorato toccando alcuni cavi scoperti dell’alta tensione.
    Gli amici di Raymond gli lanciarono una sfida che consisteva nell’arrampicarsi su un traliccio, afferrare un nido e portalo a terra. Il piccolo Raymond Robinson accettò, ma accidentalmente toccò gli stessi cavi che avevano ucciso l’anno precedente un suo coetaneo, uno della potenza di 1.200 volt continui, e l’altro di 22.000 volt di corrente alternata.
    Il corpo del bambino prese fuoco prima di staccarsi dai cavi e precipitare giù. Raymond venne trasportato all’ospedale in fin di vita e restò ricoverato per diversi mesi. Alla fine riuscì a salvarsi: il suo corpo riprese a funzionare normalmente, tutti gli organi ne uscirono in buone condizioni ed il cervello non fu danneggiato. Il volto del piccolo Raymond Robinson, però, rimase irrimediabilmente sfigurato dalla scossa elettrica: non aveva più l’orecchio sinistro, ne il naso, gli occhi, la bocca o gli zigomi, che si fusero in un unico ammasso di carne necrotizzata.
    La sua vita del piccolo Raymond Robinson fu completamente stravolta da quell'incidente e fu costretto a crescere chiuso quasi sempre in casa. Anche da adolescente passò le sue giornate chiuso in casa, aiutando i genitori e fumando qualche sigaretta come unico svago. I vicini ed i conoscenti lo descrivevano come una persona buona e gentile, a cui piaceva ridere e scherzare. Amava molto i bambini specie la sua piccola nipotina. A causa del suo aspetto, però, molti erano terrorizzati da Raymond che non usciva mai di giorno perchè temeva di spaventare la comunità.
    Poichè la notte gli celava, almeno in parte, il viso deturpato, quando tutti dormivano l’uomo usciva spesso a fare una passeggiata, ma solo quando era molto tardi e nessuno lo poteva vedere.

    Non si allontanava mai molto da casa e se udiva qualche auto passare o qualche voce si nascondeva velocemente.
    Quando divenne adulto la voce si sparse e Raymond divenne una specie di fenomeno da baraccone: molti ragazzi iniziarono a giungere da diverse località in piena notte proprio con l'intenzione di incontrarlo e vedere il volto di quel "mostro" senza faccia. Per lui divenne impossibile evitare tutti i curiosi accorsi, che spesso gli offrivano delle birre o delle sigarette solo per farsi una foto assieme a lui.
    Più di una volta Raymond tornò a casa ubriaco, sconvolgendo la madre perché in casa sua non si era mai consumata nemmeno una goccia di alcool. Le passeggiate notturne di Raymond divennero una vera e propria attrazione ad un certo punto, tanto che la fila di macchine sulla statale 351 alcune sere richiese persino l’intervento della polizia. In quel periodo vennero coniati i nomignoli "Charlie No Face" e "Green Man" r ebbe iniziò la leggenda del mostro che ruba i volti dei malcapitati.
    Raymond continuò a passeggiare quasi ogni notte, dagli anni ’50 fino alla fine degli anni ’70, incurante della leggenda che si stava creando attorno alla sua figura, anche perchè era uno dei pochi svaghi che poteva concedersi.
    Nel 1985 Raymond Robinson morì all’età di 74 anni, dopo aver vissuto l’ultimo periodo della sua vita in una casa di cura.
    Raymond Robinson, fu sempre considerato un essere soprannaturale, una figura spaventosa, una creatura mostruosa, un uomo senza faccia che si aggira di notte lungo le strade meno battute, alla ricerca di una vittima a cui rubare il volto che gli manca. E ancora oggi la leggenda di Charlie No Face oscura la tragica realtà dell’incidente capitato a Raymond Robinson.

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    L'ALIENO DEL BOSCO DI STURNO



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    Per dare una maggiore idea del mistero che ha suscitato questa vicenda devo presentarvi questo caso di presunto incontro ravvicinato del 3° tipo partendo dalla fine della storia.
    3 Settembre 1977. Il sindaco di Sturno, Alberto Forgione, convoca a se niente meno che le telecamere della RAI e confessa di essere uno degli autori di quello scherzo, così ben riuscito da aver fato credere a 7 ragazzi di aver assistito all'atterraggio di un UFO e di aver visto un alieno. Perfetto, caso chiuso!
    Certo, quale sindaco non va nei boschi alle 2 di notte vestito con un tuta robotica per fare scherzi ai propri cittadini? Magari coadiuvato dall'intera giunta comunale impegnata a preparare effetti speciali di luce e segni di bruciature al suolo...
    Eh sì, nessuno ci ha mai pensato, ma l'hobby principale dei sindaci è quello di spaventare la gente di notte. Che sbadati che siamo!
    Ok, partendo da questa dichiarazione andiamo ai fatti che successero nei dintorni di Sturno, in provincia di Avellino.
    Era da poco passata la mezzanotte del 31 agosto, quando due ragazzi, Michele Giovanniello e Rocco Cerullo, studenti all’Università di Napoli, stavano tornando a casa in macchina sulla strada provinciale collega Sturno a Frigento. In una zona periferica, con illuminazione scarsa e con folta vegetazione, notarono in lontananza una strana luce abbagliante, simile ad un faro a lungo raggio.
    Diedero poco peso alla cosa, ma la loro curiosità li spinse a seguire con lo sguardo quella fonte luminosa davanti a loro. Poco meno di un chilometro più avanti si accorsero che quella strana luce di tonalità tra il giallo e il rosso partiva da un punto imprecisato di un piccolo bosco su un lato della strada che stavano percorrendo.
    I due studenti incuriositi si fermarono e decisero di controllare di cosa si trattasse così, dopo aver parcheggiato l'auto a bordo strada, iniziarono ad avvicinarsi alla boscaglia tagliando in mezzo ad un campo. Man mano che avanzavano nel bosco iniziarono a vedere una serie di luci multicolori. Giunti nei pressi di una piccola radura videro una figura umanoide che, notandoli, venne loro incontro.
    Spaventati a morte i due ragazzi tornano subito alla macchina e andarono a Sturno dove convinsero alcuni loro amici, fra cui il 24enne Antonio Pascucci, a tornare sul posto per osservare quell'inquietante fenomeno. Tornati nuovamente sulla statale nel punto in cui si erano fermati si accorsero subito che erano ancora presenti le luci colorate ed entrando nel bosco videro in lontananza nuovamente la figura umanoide.
    Il gruppo tornò quindi nuovamente in paese per chiedere rinforzi e convinsero altri due conoscenti a seguirli. Erano circa le 2 quando il gruppo, composto da sette persone, tornò ancora una volta al bosco. La fonte luminosa era ancora presente così si arrampicarono su un pendio cercando di raggiungerla da un altra parte in modo da evitare quell'essere che li spaventava.
    Giunti in cima al pendio però rividero la figura ad una ventina di metri, ferma immobile nella radura. Ora potevano osservarla meglio perchè era molto più vicina: aveva un aspetto robotico, era alta circa 2 metri e indossava una tuta argentea. Dagli occhi emetteva fasci di luce color arancio e non aveva il collo, o almeno i ragazzi non lo videro perchè l'essere portava una specie di casco che lo copriva interamente.
    Alcuni dei testimoni più coraggiosi si soffermarono a osservare qualche dettaglio in più e notarono un bracciale con una specie di piccola scatola nera sull’avambraccio destro e una cintura metallica all’altezza dei fianchi. Pochi secondi dopo il loro arrivo l'essere si accorse di loro e avanzò in direzione del gruppo: due di loro, terrorizzati, scapparono verso la macchina, mentre gli altri dissero che “qualcosa” li trattenne dal farlo. L’essere iniziò ad emettere uno cicalino e alzò il braccio sinistro ad indicare il cielo.
    I ragazzi fuggirono in preda al panico e decisero di andare ad avvisare i carabinieri. Giunti sul posto per un'ispezione rinvennero tre buchi rotondi del diametro di 35 cm disposti ai vertici di un triangolo i cui lati superavano i 4 m. L'esame dei buchi effettuato da un'ingegnere rilevò che i buchi sono stati fatti con una pressione di almeno 40 tonnellate per ciascuno di essi.
    Alcuni residenti del luogo raccontarono di aver visto nella notte un UFO sfrecciare sopra le colline: il velivolo sembrava essere circolare, circondato da oblò illuminati e sormontato da una cupola che sembrava avere delle luci rotanti.
    Due dei ragazzi che assistettero all'incontro ravvicinato vennero poi sottoposti a ipnosi regressiva dal Professor Franco Granone, docente di malattie nervose e mentali e di psicologia all'Università di Torino.
    Sotto ipnosi profonda riferirono la stessa versione raccontata dagli altri amici, senza nessuna contraddizione. Il Professor Granone ha tenuto a precisare però che l'ipnosi non ha carattere probatorio e che l'esperienza raccontata può essere frutto di un'allucinazione.
    Cosa successe veramente a Sturno? Un incontro ravvicinato? Un'allucinazione collettiva? O, come dice il sindaco, uno scherzo fatto un bosco sperduto sapendo che sarebbero giunti dei ragazzi creduloni in piena notte a cascarci?

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    OGGETTI MALEDETTI: LA PERLA DI LILLIAN NORDICA



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    Pochi di noi contemporanei ricordano le sue rappresentazioni, ma Lillian Allen Norton era una cantante lirica americana di fama mondiale. Era meglio nota con il nome d’arte di “Lillian Nordica” e divenne celebre come una delle più grandi interpreti delle opere wagneriane.
    Sulla sua vita, ed in particolare sulla sua morte nel 1914, aleggia una strana leggenda secondo cui una perla di cui era proprietaria le sarebbe stata fatale.
    Sin da ragazza Lillian sviluppò una passione e capacità canore fuori dal comune, così i genitori acconsentirono a mandarla a studiare a Parigi. Fu lì, in una vetrina del centro, che intravide una splendida perla gialla di cui si innamorò all'istante. Il prezzo non era basso, ma certamente abbordabile, così la ragazza fece alcuni piccoli sacrifici e riuscì a comprarla.
    Lei stessa raccontò a diverse persone uno strano aneddoto su quel gioiello: quando chiese al gioielliere il motivo di un prezzo basso per una perla di tale bellezza questi rispose che essa era già passata in possesso di diversi proprietari, ma col tempo aveva acquistato la fama di portare sventura perchè che assicurava ad ogni suo possessore un evento fortunato ed uno infausto, molto spesso fatale. La ragazza sorrise convinta che l'uomo puntasse a farla desistere dall'acquistarla, ma il gioielliere, oltre alla garanzia di autenticità, le consegnò un biglietto su cui c'era scritta un'enigmatica frase:

    <<nata tra i flutti di Samarai, troverà la via del ritorno ai fondali che le hanno dato vita>>

    Lillian Nordica non diede importanza a quella che considerò una superstizione priva di valore, così comprò la perla e uscì dalla gioielleria convinta di aver fatto un buon affare e lieta che il destino le avesse concesso di possedere un così bel gioiello con una modica spesa.
    Da allora la sua vita, che non era mai decollata, imboccò il destino che il gioielliere le aveva preannunciato: l'evento fortunato fu quello di esibirsi a Londra in una rappresentazione teatrale. Da allora a sua voce affascinò i più grandi critici del momento e venne invitata ovunque, prima a Bayereuth, poi a San Pietroburgo, poi in tutti più importanti teatri del mondo. Ovunque andasse veniva accolta con entusiasmo e il successo la innalzò tra i pilastri della musica lirica.
    In seguito si sposò, ed allora cominciò ad avverarsi anche la parte della profezia che contemplava il dolore: la famosa cantante prese marito tre volte, ma perdette il primo in un disgraziato incidente e dal secondo divorziò. Dopo 5 anni di felice matrimonio col terzo marito Lillian Nordica era diventata una celebrità mondiale, ma covava in se una costante insoddisfazione. Il marito la convinse a prendersi una vacanza e la coppia intraprese una lunga crociera intorno al mondo.
    Alcuni successivamente osservarono che il destino era stato dettato dalla perla gialla, che in qualche modo la convinse ad iniziare quel viaggio per poter tornare a casa.
    Presso la costa meridionale della Nuova Guinea, quasi nello stesso punto dove la perla era stata trovata, il piroscafo naufragò. Lilian Nordica fu tratta in salvo, ma da quel giorno non si riprese più, sia fisicamente che psicologicamente. La colpì una grave polmonite, ma in lei qualcos'altro la stava divorando nei pensieri: non reagiva più agli stimoli esterni e a stento parlava al marito.
    Fece appena in tempo a tornare a casa per morire il 10 maggio 1914. Lasciò in eredità perle e altri gioielli per un valore di ben quattro milioni di corone; ma tra di essi mancava la fatale perla gialla.
    Gliel’avevano vista in mano ancora durante il tragitto verso Batavia, quando la cantante giaceva ormai sul suo letto di morte, ma da allora nessuno seppe dire dove fosse andata a finire.
    Un servitore della donna un giorno disse:

    <<e' ritornata nelle profondità marine alle quali l’aveva strappata un giorno lontano la mano del pescatore.>>

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    LA DONNA LUPO MESSICANA



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    Nel 2004 in prossimità di Texán Palomeque, in Messico, avvennero strani casi di uccisioni e mutilazioni di animali che molti attribuirono ad un lupo mannaro, o meglio, donna lupo.
    Il primo caso documentato avvenne il 30 gennaio 2004, ma gli abitanti della zona giurano che era già da molto tempo che si aggirava il " Huay kekén ".
    Il Huay kekén ( "cane maligno " in lingua Maya ) terrorizza gli abitanti della zona orientale dello Stato già da molti anni, ma solo con gli episodi del 2004 i residenti hanno sporto denuncia al commissariato di Texán Palomeque. Secondo la maggior parte dei testimoni oculari che hanno visto la creatura, si tratta di un essere umanoide che può muoversi sia a due che a quattro zampe, dalle forme umane, me con un pelo folto rossiccio tipico dei lupi. Si tratterebbe di una femmina che, oltre a spaventarli, ha causato la morte per squartamento di oltre un centinaio di animali domestici e di fattoria negli soli mesi di gennaio, febbraio e marzo.
    Gli abitanti di queste zone, che si estendono per circa 20 km dal capoluogo, vivono terrorizzati da quella misteriosa presenza che attacca e uccide, soprattutto nelle ore intorno all' alba. Le sue prede preferite sembrano essere galline, anatre, pecore e tacchini e la maggior parte dei ritrovamenti presenta ferite da violenza, squartamento e fori nella pancia con spargimento delle viscere.
    Sebbene la Direzione Municipale abbia liquidato i casi come attacchi di cani randagi, i residenti insistono sulla presenza nei dintorni di un donna lupo, che pare aggirarsi preferibilmente nelle vicinanze dei paesini di Hunucmá e Umán, vicino a Texán, zona nord dello Yucatán.

    << Non è insolito subire attacchi del genere nel nostro paese e siamo certi che non siano attacchi di un cane, né tantomeno di una volpe o gatto selvatico. Al contrario crediamo che si tratti dell' Huay kekén che è venuto per saziarsi dei nostri animali >>.

    Queste sono state le parole di alcuni contadini di Opichén, poco distanti dalla zona dei ritrovamenti, e anch'essi hanno rivelato che circa 20 anni fa anche il loro villaggio fu assalito dal panico per gli attacchi di uno strano animale che nottetempo assaliva maiali e uccelli.
    Secondo testimoni di questa località, l'animale avrebbe l'aspetto di un "cane enorme " con grandi zanne e che non emette nessun tipo di ringhio o grugnito e che preferisce cibarsi di maiali, galline, tacchini, cani e gatti.

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    Le ultime immagini di Prince prese da TMZ



    E' abbastanza intuibile da queste immagini, prese da un video pubblicato dalla testata di notizie scandalistiche TMZ, che il Prince nei suoi ultimi giorni di vita non godeva di ottima salute. In compagnia delle sue guardie del corpo, la pop star, Prince, cerca di evitare le telecamere ma la cosa che ci è balzata subito agli occhi e che il cantante faceva uso di un bastone.

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    Molto pallido in viso, Prince nasconde dietro le grandi lenti nere dei suoi occhiali, forse sofferenza dalla sua ultima malattia, che potrebbe averlo mandato alla morte.

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    Mostriamo qui sotto il video integrale dell'ultima volte che, Prince è comparso davanti le telecamere di TMZ.



    Una grandissima perdita nel mondo della musica!

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    Annabelle, la storia vera della bambola malefica



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    Annabelle, horror spin off dell’inquietante The Conjuring, è già cmpione d’incassi nei cinema mondiali.
    Per chi non lo sapesse, il film ha un’origine soprannaturale: la storia prende spunto da una bambola vera e dal demone che presumibilmente ne prese possesso.
    Ovviamente, gli eventi paranormali descritti nel film sono stati esagerati per renderlo il più spaventoso possibile.
    Così come il look della bambola è stato anche cambiato, ma si potrebbe sostenere che la vera Annabelle sia molto più terrificante.
    Di seguito i fatti descrittii dagli investigatori del paranormale, Ed and Lorrain Warren, che si occuparono dell’esorcizzazione della bambola.

    Annabelle esiste realmente.
    Attualmente risiede al museo dell’occulto dei Warren a Monroe, Connecticut, dove la bambola è racchiusa in una teca, con tanto di Croce Santa e un cartello che dice: “Attenzione: Non toccare”.
    Quello descritto nel film horror è un giocattolo orribile con la pelle color zombie e un sorriso contorto.
    La versione originale era un pupazzo di pezza, non di ceramica, facente parte della collezione Raggedy Ann, e per non avere eventuali problemi con i produttori della bambola, è stato scelto di cambiarne l’aspetto.

    2. Era un regalo di compleanno

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    A differenza del film, che ritrae un marito e una moglie propiretari di Annabelle, la bambola originale apparteneva ad una studentessa di infermieristica di nome Donna.
    Annabelle le fu regalata dalla madre nel 1970 per i suoi 28 anni, e fu acquistata in un negozio di bambole usate Raggedy Ann.
    Dopo alcuni giorni, fu la compagna di stanza di Donna, Angie, a notare per prima che la bambola era “strana”.

    3. Poteva muoversi da sola…

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    Poco dopo che la bambola entrò nelle loro vite, Donna e Angie notarono che cambiava posizione durante il giorno, ad esempio incrociava le braccia e le gambe.
    Nel corso del tempo, le due donne sostengono abbia iniziato a muoversi in diverse posizioni nella loro casa.
    “Più volte Donna, ponendo la bambola sul divano prima di andare al lavoro, tornava a casa per trovarla nella sua stanza sul letto con la porta chiusa”, hanno raccontato i Warren.

    4. …. e scrivere

    Pur non avendo alcuna carta pergamena nella loro casa, le ragazze avrebbero trovato appunti a matita scritti da Annabelle nel loro appartamento.
    I Warrens sostengono che la bambola avesse scritto “Help Us” con la scrittura a mano di un bambino piccolo.

    5. Lo spirito di Annabelle Higgins

    Dopo mesi di convivenza con la bambola, e credendo gli incidenti potessero essere riulati di intrusioni, Donna tornò a casa una sera per scoprire che Annabelle aveva sangue su mani e torace. Spaventate, le ragazze contattatarono un medium per aiutarle a risolvere il mistero.
    Durante una seduta spiritica si scoprì che la bambola era posseduta dallo spirito di Annabelle Higgins, una bambina di 7 anni morta nella casa.
    Donna e Angie hanno diedero il permesso ad Annabelle di rimanere nella bambola dopo che lo spirito dichiarò di sentirsi sereno accanto alle ragazze.

    6. Attacco

    Un amico di Donna e Angie, Lou, è stato attaccato da Annabelle in diverse occasioni.
    Dopo aver espresso il suo disgusto per la bambola “malefica”, si svegliò una notte trovando la bambola che tentava di strangolarlo.
    Lou, in un primo momento credeva si trattasse di un brutto sogno.
    Il giorno successivo, entrò nell’appartamento quando sentì strani rumori provenienti dalla stanza di Donna.
    Mentre ne cercava la fonte, sentì una presenza dietro di lui e fu aggredito e lasciato con “7 distinti segni di artigli” sul petto.
    I graffi guarirono quasi immediatamente.
    Le ferite di Lou resero consapevole Donna della natura malvagia della bambola.
    Dopo aver contattato un sacerdote, la ragazza parlò con i Warren.

    7. I Warren

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    I Warren, noti per aver esorcizzato la famsa casa di Amityville ( da cui fu tratta la trama dell’omonimo film), sono stati coinvolti anche nel caso Annabelle.
    La coppia scoprirono che la bambola non era posseduta, ma manipolata da uno spirito maligno che creava l’illusione che la bambola fosse viva.
    Secondo i Warren, questo spirito fingeva soltanto di essere una bambina, al fine di possedere un corpo umano.
    I Warren esorcizzarono l’appartamento e presero la bambola con loro.

    8. Lo spirito vive ancora

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    I Warren sostengono che la bambola abbia continuato a mostrare un comportamento “strano”.
    Quando la portarono nella loro casa in Connecticut, è stata vista levitare e riapparire in diverse aree della loro dimora.

    9. Incidenti legati ad Annabelle

    Secondo i Warren, lo spirito ha tormentato molti individui che hanno avuto la sfortuna di avere a che fare con la bambola.
    Un sacerdote che ha visitato la casa dei Warren e insultato Annabelle, dicendole “non può far male a nessuno,” è stato coinvolto in un incidente d’auto quasi fatale dopo la visita.
    Una coppia, come riferito, si è schiantata in moto dopo aver preso in giro le abilità della bambola.
    L’uomo è morto subito dopo, la sua ragazza è sopravvissuta, ma è stato ricoverata in ospedale per un anno dopo l’incidente.

    Fonte: diregiovani.it
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    IL RITORNO DALL'ALDILA' DI JAMES CHAFFIN



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    Di questo caso si parlò a lungo e fu anche di ispirazione per molti libri perchè esiste un'ampia documentazione che ne attesta la veridicità e gli eventi che furono da sfondo a tutta la vicenda.
    Alla fine del 1800 nei pressi di Mocksville, in North Carolina, c'era un proprietario terriero di nome James Chaffin, sposato e padre di quattro figli. Non che fosse molto ricco, ma poteva permettersi un certo benessere e poteva crescere i propri figli senza dover badare ai centesimi.
    Le cronache del tempo non chiariscono il motivo della sua decisione, ma nel 1905 l'uomo stese il suo testamento nel quale le sue volontà erano quelle di nominare unico erede Marshall, il terzo figlio, e diseredare gli altri tre figli John, James Pinkney ed Abner. oltre a questo ripudiava la moglie e la privava di ogni lascito.
    Le teorie più accreditate sono che la moglie lo avesse tradito con un altro uomo e che Marshall fosse l'unico figlio di cui James fosse sicuro di essere il padre oppure che la moglie e i tre figli cospirarono contro di lui facendogli perdere un grosso affare mentre Marshall gli restò fedele e svelò il segreto.
    In ogni caso Jim Chaffin morì il 7 Settembre del 1921 in seguito ad una caduta da cavallo. in casa venne trovato il testamento dell'uomo in uno dei cassetti del comodino e Marshall Chaffin ereditò ogni cosa. Destino volle che pochi anni dopo anche Marshall morì, lasciando tutto alla moglie ed al figlio.
    La madre ed i restanti fratelli non contestarono le volontà di Chaffin al momento della successione ( e questo lascia supporre che davvero ci fosse un intrigo piuttosto grave che danneggiò James Chaffin), e la questione dell'eredità sembrava chiusa definitivamente. Invece lo fu fino alla primavera del 1925.
    Il secondo figlio di Chaffin, James Pinkney Chaffin, dopo la morte del fratello iniziò ad essere turbato da strani eventi: il padre gli apparve più volte in sogno e lo fissava con il tipico sguardo da padre, severo, ma amorevole, seppure non pronunciasse alcuna parola. Dai sogni l'uomo passò a vederne il fantasma: il padre appariva come una figura eterea leggermente luminosa e restava ferma ai piedi del letto fissandolo in modo innaturale ed in silenzio.
    Quei sogni e quelle visioni andarono avanti per parecchie settimane, sempre ripetute allo stesso modo, fino a che nel mese di giugno il vecchio Chaffin apparve al figlio indossando un vecchio cappotto nero. L'uomo si spaventò, ma la figura spettrale aprì il soprabito e gli fece segno di guardare una tasca interna del suo.
    Quella notte James Pinkney non riuscì più a chiudere occhio, ma in lui si fece largo la convinzione che il padre stava cercando di dirgli qualcosa e quel qualcosa aveva a che fare con il vecchio cappotto che il apdre indossava nei mesi invernali.
    L'uomo all’alba bussò a casa della madre e insieme si misero a cercare il cappotto nero del padre. La signora Chaffin si ricordò che aveva donato il cappotto al figlio maggiore, John, il quale si era trasferito in un’altra contea.
    James guidò per 200 miglia per incontrare John e arrivare in fondo alla questione. Dopo aver riferito lo strano episodio al fratello, i due andarono a prendere il cappotto del padre per ispezionarlo. Scoprirono che, come aveva indicato il fantasma del padre a James, al suo interno vi era una tasca segreta ritagliata nella parte anteriore ed accuratamente sigillata. La aprirono scucendo accuratamente la fodera e trovarono un foglio di carta arrotolato e legato con dello spago.
    Sul pezzo di carta c'era scritta una breve una nota scritta con la calligrafia inconfondibile del vecchio James Chaffin: "Genesi, Capitolo 27".
    I due fratelli restarono perplessi a quella scoperta: il padre era una persona semplice e ben voluta da tutti, ma in vita non aveva mostrato un grande interesse per la Bibbia e per la Chiesa.
    James tornò a casa della madre ed invitò un amico, Thomas Blackwelder, a seguirlo per verificare la successione degli eventi affinchè non ci fossero equivoci.
    La signora Chaffin, dopo una meticolosa ricerca, trovò effettivamente una vecchia Bibbia nell'armadio del marito, sepolta da diverse paia di scarpe. La Bibbia era pessime condizioni, ma Thomas Blackwelder riuscì a trovare la parte dove si trovava la Genesi e l’aprì al capitolo 27. Scoprì che due pagine erano state piegate in modo da formare una tasca ed in quella tasca vi era un pezzo di carta occultato con attenzione.
    Nel testo il vecchio James Chaffin aveva scritto di pugno quanto segue:
    <<dopo aver letto il capitolo 27 della Genesi, io, James L. Chaffin, intendo manifestare le mie ultime volontà. Dopo aver dato al mio corpo una degna sepoltura, voglio che la mia piccola proprietà sia equamente divisa tra i miei quattro figli, se saranno vivi alla mia morte; se non saranno vivi, le loro parti andranno ai loro figli. Questo è il mio testamento. Testimone la mia mano che lo sigilla.>>
    Secondo la legge del tempo un testamento era da considerarsi valido se scritto di pugno dal testatore, anche senza la presenza di testimoni.
    Il famoso capitolo 27 della Genesi racconta come Giacobbe, il figlio più giovane del patriarca biblico Isacco, ricevette la benedizione del padre mentre il fratello maggiore Esaù venne diseredato.
    Il testamento portava la data 18 marzo 1919.
    Marshall era morto ormai da tre anni e i tre fratelli e la signora Chaffin presentarono una denuncia contro la vedova di Marshall per recuperare la fattoria e distribuire equamente i beni come disposto dal padre. La signora Marshall Chaffin, ovviamente, si oppose.
    La data del processo venne fissata per i primi di dicembre del 1925. Circa una settimana prima dell’apertura del processo, James Chaffin fu visitato ancora dal fantasma del padre. Questa volta il vecchio parlò e gli chiese:
    <<dove è il mio testamento?>>
    James aveva con se il testamento del 1919 e aprì il cassetto del comodino epr mostrarlo al padre. Il vecchio gli sorrise e svanì.
    Il giorno dell’udienza la vedova di Marshall Chaffin potè visionare il testamento redatto nel 1919 e si convinse a ricorrere ad una soluzione amichevole, sulla base delle condizioni stabilite nel secondo testamento.
    Il vecchio James Chaffin non apparve mai più in sogno al figlio. A quanto pare aveva ottenuto quello che cercava: riparare un torto dopo aver letto la storia di un testo sacro.

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    L'omicidio di Luca Varani



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    I due trentenni della Roma bene che hanno torturato e il giovane "per vedere l’effetto che fa". E adesso si accusano a vicenda

    «Luca non moriva, si riprendeva ogni volta. Manuel era molto infastidito dal fatto che Luca non moriva» (dal racconto di Marco Prato, che con l’amico Manuel Foffo ha torturato e ucciso Luca Varani).

    Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani, Corriere.it 11/3;

    Luca Varani, 23 anni, studente, d’origine jugoslava ma adottato quando aveva pochi mesi da due romani ricchi, «esile, fragile, carattere debole», appassionato di matematica, doveva ancora capire cosa fare. Fidanzato da nove anni con la coetanea Marta Gaia Sebastiani, cameriera in una società di catering. Di recente aveva conosciuto un Marco Prato di anni 29, padre italiano, madre francese, solito farsi chiamare Pratò, con l’accento sulla o, laurea in Scienze politiche, organizzatore di eventi, sogni di attore e modello, un flirt, in passato, con la soubrette Flavia Vento. Costui da martedì 1° marzo si tappò nella casa dell’amico Manuel Foffo, 30 anni, universitario fuori corso, figlio del proprietario di una delle più importanti agenzie di pratiche auto di Roma e del ristorante «Dar Bottarolo» a Pietralata. I due per 48 ore nell’appartamento al decimo piano di un palazzo di via Igino Giordani, periferia est di Roma, bevettero alcolici, tirarono 1.800 euro di coca, fecero sesso più e più volte. Poi giovedì sera gli venne l’idea di «uccidere qualcuno per vedere l’effetto che fa», come ha raccontato Foffo, o di «simulare uno stupro con un prostituto-maschio», come invece sostiene Prato. Uscirono in macchina ma non trovarono nessuno che faceva al caso loro, allora pensarano al Varani. La mattina dopo Prato gli mandò un messaggio promettendogli 150 euro per un incontro sessuale, lui accettò. Appena bussò a casa del Foffo, gli offrirono un bicchiere d’alcol con dentro l’Alcover, sostanza nota come il metadone degli alcolisti che Manuel possedeva «perché me lo ha prescritto il medico, visto che ho sofferto di etilismo». Poi i due gli indicarono il bagno: «Ti vogliamo pulito, fatti una doccia». Quando finì di lavarsi, mezzo nudo, in preda ai conati di vomito per quello che aveva bevuto, gli annunciarono: «Abbiamo deciso di ucciderti». Gli diedero una martellata in testa per stordirlo, una coltellata alla gola per impedirgli di gridare, gli strinsero una corda attorno al collo. Poi ancora coltellate all’addome, al volto e sul collo, venticinque, e ancora martellate, cinque, soprattutto sulle mani, per frantumargliele e impedirgli di difendersi. Infine, quando rantolava sul pavimento in una pozza di sangue, uno dei due gli diede una coltellata al cuore, lasciandogli la lama conficcata nel petto.

    Tutti i giornali del 7, 8 e 9 marzo; Rinaldo Frignani, Corriere della Sera 11/3; Fulvio Fiano, Corriere della Sera 11/3; Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani, Corriere della Sera 12/3;


    Mentre Luca era in terra, forse ancora vivo, coperto da un piumone perché non volevano guardarlo in faccia, Manuel e Marco s’addormentarono abbracciati sul letto, nella stessa stanza. Al risveglio misero il cadavere sul letto per pulire il pavimento e gettarono i vestiti del morto «in un cassonetto sotto casa». Sabato il Foffo raccontò tutto al padre, che chiamò i carabinieri. Marco Prato fu rintracciato poche ore più tardi in una camera dell’Hotel San Giusto, vicino piazza Bologna: aveva ingerito benzodiazepine e superalcolici. Lui dice che in preda ai rimorsi si voleva suicidare, gli inquirenti non escludono che volesse solo attenuare gli effetti della cocaina.

    Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani, Corriere.it 11/3;

    La telefonata a Varani dal cellulare di Prato (preceduta da un sms) è partita alle 7 e 12 minuti di venerdì 4 marzo. La sua morte dovrebbe risalire alle 9.30.

    Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 11/3;

    Secondo Foffo la pugnalata al cuore l’avrebbe inferta Prato, che sostiene invece l’esatto contrario. I due non sanno che l’autopsia ha stabilito non essere stata quella coltellata a uccidere Luca, ma tutte le sevizie che hanno preceduto la sua morte, avvenuta per dissanguamento.

    Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 11/3; Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani, Corriere della Sera 12/3;

    Il racconto di Foffo, secondo cui lui e Marco cercavano qualcuno da uccidere «per vedere che effetto fa»: «A casa sono venuti a sniffare e bere anche altre persone, come Alex e Giacomo, ma non ci è scattato il trip [...]. Quando Luca è entrato in casa ci siamo guardati negli occhi ed è scattato un clic: era lui la persona giusta [...]. Ho trovato io i due coltelli e il martello. La corda non so da dove è spuntata fuori. Abbiamo colpito tante volte. Luca non è mai riuscito a resistere alle nostre violenze, non ha mai gridato. Mentre lo colpivamo non provavo piacere però non ero in grado di fermarmi anche se ho avuto dei momenti in cui provavo vergogna per quello che facevo. Lo abbiamo davvero torturato. Ricordo solo che la morte è sopravvenuta dopo molto tempo e Luca ha sofferto molto. Non so come mi sia potuto trasformare in un animale del genere. Anche in passato avevo avuto un momento in cui volevo far del male a una persona, ma non ho mai pensato potesse concretizzarsi».

    Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 8/3; Grazia Longo, La Stampa 9/3; Fulvio Fiano, Corriere della Sera 9/3;

    Il racconto di Prato, secondo cui la piega violenta è stata decisa da Foffo: «Sono andato a casa di Manuel martedì sera, con vestiti maschili e una borsa con una parrucca e altri abiti femminili. Nei due giorni che siamo stati a casa di Manuel abbiamo avuto numerosi rapporti. Non avevamo l’idea di nessun omicidio, non se n’era mai parlato nei nostri deliri». Giovedì sera sono usciti «per cercare una “marchetta”, io sempre vestito da donna. Siamo andati a piazza della Repubblica, a Villa Borghese e a Valle Giulia, ma non abbiamo trovato nessuno. Non siamo andati in giro per uccidere. Manuel voleva avere un rapporto estremo con lo stupro. Siamo tornati a casa alle 6.30 di venerdì mattina. Abbiamo chiamato Luca e gli abbiamo offerto 150 euro. Quando è arrivato gli ho aperto la porta sempre vestito da donna, lui ha cominciato a drogarsi con noi. Io e Luca abbiamo iniziato a fare sesso e Manuel assisteva». Poi Manuel interviene nel rapporto, «dopo aver leccato i tacchi a spillo ed essersi fatto camminare sul corpo». A un certo punto «Manuel era come impazzito, mi ha chiesto prima di versare un farmaco nel bicchiere di Luca e poi dopo che questo aveva cominciato a stare male mi ha chiesto di ucciderlo: “Questo stronzo deve morire”, urlava in preda a un improvviso e insensato odio e repulsione verso Varani. Manuel mi ha detto “strozzalo”, io ho provato, ma Luca si è ripreso, mi ha scansato e non sono riuscito a fermarlo e a quel punto Manuel è andato in cucina, ha preso un martello e ha cominciato a colpirlo, ho cercato di calmarlo inutilmente. Poi ha preso un coltello e lo ha colpito ancora ma Luca non moriva... Eravamo strafatti di coca, io non ce l’ho fatta ad oppormi alla morte di Luca. Lui si lamentava “Non voglio morire” e allora Manuel gli ha tagliato le corde vocali per farlo stare zitto. Gli abbiamo messo una coperta sul viso per non vederlo, respirava ancora in modo affannoso. Non potevo più sopportare tutto questo. Manuel voleva essere baciato in testa per avere la forza da me per uccidere Luca. Non voleva farlo soffrire, voleva solo ucciderlo. Poi mi disse: “Questa cosa ci legherà per la vita”».

    Rinaldo Frignani, Corriere della Sera 11/3; Fulvio Fiano, Corriere della Sera 11/3; Grazia Longo, La Stampa 10/3;

    L’ordinanza con cui il gip Amoroso ha convalidato l’arresto in carcere per Foffo e Prato parla di «delirio sadico», di «modalità raccapriccianti» dell’omicidio e di «un crudele desiderio di malvagità».

    Federica Angeli e Francesco Salvatore, la Repubblica 11/3;

    Durante i due giorni di droga e violenza che hanno portato all’uccisione di Luca Varani, nella casa di Manuel Foffo, oltre a Marco Prato, sono passati altri uomini: uno spacciatore albanese; Giacomo, un romano residente a Milano; “Alex Tiburtina” (come era memorizzato il nome sul telefonino di Foffo); un cameriere gay di nome.

    Riccardo Rinaldo Frignani, Corriere della Sera 12/3;

    Alex, ex militare e pugile dilettante, 34 anni, presente a casa di Foffo dalle 5.30 alle 8.30 del giorno che ha preceduto il delitto: «Quei due erano fuori di testa, mi ha invitato Foffo alle 5 del mattino. Ho preso un taxi e li ho raggiunti. Non erano vestiti da donna, ma c’era una parrucca. Anche a me hanno offerto alcol e cocaina, ma io bevo solo birra e quel drink non lo volevo. Forse questo mi ha salvato, potevo stare al posto di Luca. Non è vero che ho fatto sesso con Prato (come quest’ultimo ha raccontato al gip), solo che prima di andare via l’ho sentito dire a Foffo: “Tanto non è lui che volevamo, non ci dovevamo fare niente”».

    Fulvio Fiano e Rinaldo Frignani, Corriere della Sera, 12/3;

    Valter Foffo, padre di Manuel, ha scoperto di avere un figlio assassino sabato pomeriggio. Erano ai funerali dello zio «morto giovedì», tutta la famiglia e anche Manuel appunto, quel giorno insolitamente «strano, imbambolato, non riusciva a parlare e io, da astemio, ho pensato fosse ubriaco...». «Hai bevuto?». «No papà, ho preso della cocaina». «Cocaina? Ma ti rendi conto di quanto sei sceso in basso?». «No papà, sono sceso molto più in basso. Abbiamo ammazzato una persona».

    Erica Dellapasqua, Corriere della Sera 8/3;

    Il padre di Marco Prato è Ledo Prato, un nome di spicco nell’ambiente culturale, segretario generale dell’Associazione Mecenate 90 presieduta da Giuseppe De Rita, docente in diverse Università nei corsi di specializzazione in marketing dei beni e delle attività culturali.

    Erica Dellapasqua, Corriere della Sera 8/3;

    Massimo Gramellini sul padre di Manuel: «Il signor Valter Foffo è andato a sedersi sulla poltroncina bianca di Porta a porta: scelta discutibile per qualcuno, ma assolutamente legittima. Il problema sono i concetti che è andato a esprimere su quella poltroncina. Anzitutto che suo figlio, in attesa di dare martellate sul cranio alla gente per pura curiosità, era sempre stato “un ragazzo modello, contro la violenza: un autodidatta”. Non un trentenne fuoricorso cronico, dedito a droghe e alcol. Un autodidatta. Di più, “un ragazzo molto buono, forse eccessivamente buono, e anche riservato. Con un quoziente intellettivo superiore alla media”. [...] La notte dei mostri sarebbe da attribuire esclusivamente all’abuso di droghe potentissime».

    Massimo Gramellini, La Stampa, 12/3;

    Gramellini sul padre di Marco, il professor Ledo Prato: «La lettura del suo intervento su Facebook è, se possibile, ancora più straniante dell’intervista televisiva del signor Foffo. Là almeno c’era la difesa dell’indifendibile da parte di un padre sconvolto. Qui invece si assiste all’esplosione straripante di un ego. Quello del professore. Il quale parla sempre e solo di sé, per ribadire a tutti che lui ha trascorso la vita a trasmettere valori positivi, anche se qualche volta ci è riuscito e qualche altra no «come dimostra questa tragedia». Si premura di autoassolversi come padre, riconoscendo che «non sempre riusciamo ad avere un ruolo decisivo nei rapporti umani e familiari». Ma si guarda bene dall’esprimere la benché minima osservazione sul comportamento del figlio.
    Massimo Gramellini, La Stampa, 12/3;

    Pare che Prato soffrisse per la sua condizione sessuale, tanto da desiderare ardentemente di operarsi per diventare una donna. Ma i suoi genitori non ne volevano nemmeno sentir parlare.
    Grazia Longo, La Stampa 9/3;

    Manuel Foffo dice di aver incontrato Marco Prato solo tre volte, lo definisce «gay», mentre di sé dice: «Io sono eterosessuale». Però ammette di «aver avuto un rapporto orale con lui, quando ci siamo conosciuti, la notte di Capodanno. La cosa mi ha dato fastidio e avevo deciso di non vederlo più». Ma Marco aveva girato un video e con quello, a suo dire, lo teneva sotto ricatto.
    Grazia Longo, La Stampa 9/3;

    Un’amica di Marco Prato: «Era un ragazzo timido, complessato, grassottello, piccolo. Poi quando ha smesso di fingere di essere eterosessuale si è trasformato, è diventato un figo».
    Maria Corbi, La Stampa 8/3;

    Già un mese fa Marco Prato si era rinchiuso nel suo appartamento a piazza Bologna con un trentenne cocainomane come lui, riempiendolo di calci e pugni. In quella circostanza la vittima è stato salvata grazie alla madre che, preoccupata per la sua sparizione, si è rivolta al 112. Una mossa dettata dal fatto che tutti gli amici del figlio contattati al telefono avevano spiegato di non essere insieme a lui. Tutti tranne Marco Prato, che non aveva mai risposto alle incessanti chiamate della madre disperata. Di qui la decisione di rivolgersi ai carabinieri e la scoperta nella casa: Marco Prato e l’amico trentenne strafatti e quest’ultimo gonfio di botte. All’epoca fu presentata una denuncia per lesioni personali, che poi però venne ritirata.
    Alessandra Longo, La Stampa 9/3;

    I genitori di Luca Varani durante la guerra in Jugoslavia lo avevano nascosto in un orfanatrofio, era stato poi adottato da due romani benestanti. Il papà, Dario, artigiano tappezziere con impresa individuale, di fronte al cadavere del figlio: «Mia moglie non ha neanche la forza di venire a vederlo. Lo abbiamo preso che aveva pochi mesi e già da piccolo è stato male. E ora questi due disgraziati ce l’hanno ucciso».
    Ilario Lombardo, La Stampa 8/3

    La fidanzata di Luca, Marta, su Facebook: «Sei stato troppo buono e ingenuo con le persone sbagliate».
    Ilario Lombardo, La Stampa 8/3

    Fonte: ilfoglio.it
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    IL FANTASMA DELLO STOW LAKE



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    Una delle leggende metropolitane più raccontante in California è quella del fantasma dello Stow Lake, un'entità malvagia che attaccherebbe chiunque si avventure sulle sue acque o lungo le sue rive di notte.
    Lo Stow Lake è un lago artificiale al centro del Golden Gate Park di San Francisco e la sua progettazione risale al 1893. Il lago è aperto al pubblico da oltre un secolo ed è meta sia di residenti che di turisti che vengono a godersi il paesaggio e il fascino della natura che stacca dalla cemento e la frenesia della città. Offre sentieri escursionistici e ciclabili ed è una meta popolare per i visitatori che desiderano impegnarsi in attività sportive o un po' di riposo all'ombra degli alberi. Un giretto al suo interno può includere un giro barca a remi sulle acque, un picnic con gli amici, l'osservazione della fauna selvatica, oppure la caccia al fantasma che lo infesta!
    Eh sì, quella del fantasma è una leggenda vecchia quasi quanto il parco stesso e lo Stow Lake sembra essere il luogo dove gli avvistamenti si concentrano maggiormente. Questa storia ha origine il 6 gennaio 1908, quando apparve come articolo sul San Francisco Chronicle.
    La notizia venne addirittura messa in prima pagina e riferì di un fermo effettuato ad un certo Arthur Pigeon reo di aver investito ... un fantasma! I poliziotti affermarono che durante la loro ronda notarono l'uomo a bordo della sua auto percorrere la strada che costeggia il parco e a velocità sostenuta investì una giovane ragazza in vestaglia bianca senza fermarsi.
    Lo fermarono immediatamente e uno di loro si precipitò a soccorrere la donna eper la strada, che però non c'era più.
    La polizia stupita, si accanì sul conducente che per tutta risposta affermò che nessuna donna gli aveva attraversato al strada e che tanto meno lui l'avesse investita. Per tutta risposta l'uomo fu multato per eccesso di velocità. L'agente che fece rapporto in centrale si presentò spaventato e visibilmente in preda al panico e giurò di aver visto una sottile figura vestita bianco, con lunghi capelli biondi e a piedi nudi che si era schiantata contro l'auto, ma sparendo poco dopo ai suoi occhi.
    Pigeon fu interrogato alla centrale per chiarire i fatti e (si dice per non inemicarsi gli agenti, o forse in cambio dell'annullamento della multa) disse di essere stato al lago a pescare all'alba e di aver visto nell'acqua un volto deformato di donna che lo spaventò a tal punto che si allontanò dal parco con una certa fretta. Con quella stessa fretta si era messo in macchina e stava tornando a casa, ma assicurò che non aveva investito nessuno.
    Il fantasma ha origini più antiche del parco e si dice che la figura spettrale sia quella di una giovane donna morta nel 1856, madre di tre figli e vedova inconsolabile. Secondo una versione della storia un giorno perse uno dei figli nel parco durante una passeggiata e dopo averlo cercato per ore invano, si tlse la vita per disperazione gettandosi nelle acque del lago .
    Un'altra versione vuole che sia andata in barca sul lago di Stow assieme ai suoi bambini, quando un'onda anomala fece ribaltare la barca facendoli annegare tutti e quattro.
    C'è poi una terza versione della storia uscita nel 1930 secondo cui a morire fu una giovane adolescente incinta e abbandonata dal fidanzato che, per nascondere quell'umiliazione alla sua famiglia, abbia "smaltito" il suo bambino nel lago, ma morendo poco dopo per una forte emorragia nelle sue acque.
    Nel corso degli anni molti testimoni hanno riferito di aver visto una donna a tarda notte alla ricerca per il suo bambino intorno allo Stow Lake. E' descritta ogni volta nello stesso modo: indossa un vestito bianco sporco bagnato; ha i capelli lunghi do colre biondo e occhi scuri dui non si riesce a scorgere la parte bianca, è scalza e sul volto ha un'espressione disperata e spesso è stata vista in lacrime. La maggior parte delle volte è stata vista vagare lungo le sponde del lago con occhi fissi in acqua.
    Un fenomeno insolito collegato a questa leggenda è una statua chiamata "Pioneer Women and Children", ovviamente eretta a ricordo delle donne dei primi pionieri e i loro bambini. Questa statua si trova nei pressi del lago e molti testimoni hanno giurato che questa statua si muove pure quando la gente si avvicina ad essa a tarda notte. La statua gira a fissare i curiosi e il suo volto cambia espressione in un ghigno inquietante.
    C'è chi dice che il fantasma sia del tutto innoquo, ma tra i ragazzini di San Francisco gira voce che chiamando "White Lady" per 3 volte appaia una donna eterea che chiederà:
    <<hai visto il mio bambino?>>
    Se il testimone risponde sì il fantasma seguirà e perseguiterà il bugiardo fino a causargli la morte in un grave incidente; se risponde no la donna si scuserà e tornerà alla ricerca del suo bambino scomparso.

    Fonte facebook: Misteri del Mondo - Credere Per Vedere
1429 replies since 20/2/2012
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