Il segreto di Tutankhamon

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    Il segreto di Tutankhamon



    Da quasi un secolo ormai aleggia un alone sinistro intorno al nome del faraone-bambino Tutankhamon. Da quando infatti Howard Carter ne scoprì la tomba – ufficialmente il 27 novembre 1922 – le persone più informate riguardo ai dettagli del ritrovamento morirono tutte, inspiegabilmente, nell’arco di pochi anni.

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    Circa cinque mesi dopo la scoperta della tomba il finanziatore dell’impresa, Lord Carnarvon, venne punto da una zanzara su una guancia. In seguito a questo banale incidente, le sue condizioni di salute peggiorarono fino a condurlo alla morte per setticemia.

    Toccò poi al fratellastro di Lord Carnarvon, Aubrey Herbert , che morì inspiegabilmente, nel 1923, a seguito di una semplice estrazione dentale.

    L’archeologo canadese La Fleur, giunto in Egitto nell’aprile 1923 – in perfetto stato di salute – per aiutare Carter nei suoi lavori, moriva appena qualche settimana dopo per una misteriosa malattia.

    Sempre nel 1923 moriva a causa di una strana infiammazione polmonare George Jay Gould, il più intimo amico del conte di Carnarvon.

    Solo un anno dopo, nel 1924, spirava anche il celebre archeologo Evelyn White, che aveva collaborato con Carter a redigere l’inventario del corredo funerario del faraone. Venne trovato impiccato, e la polizia concluse che si trattò di suicidio.

    Alcuni mesi a seguire perdeva la vita in circostanze poco chiare Douglas Archibald Reed, lo studioso inglese che era stato incaricato di svolgere le radiografie alla mummia del faraone.

    Nel 1926 la “maledizione” colpì Bernard Pyne Grenfell, l’insigne papirologo consultato da Carnarvon per le traduzioni dei testi egizi.

    Il segretario privato di Lord Carnarvon, il nobile Richard Bethell , venne trovato morto nel suo letto, nel 1929, a seguito di un anomalo caso di arresto cardiaco. Bethell aveva aiutato H. Carter proprio nel lavoro di catalogazione dei tesori di Tutankhamon, e la causa della sua morte è sempre rimasta un mistero.

    Lord Westbury , l’anziano padre di R. Bethell, morì appena qualche mese dopo il figlio, “precipitando” dalla finestra del suo appartamento di Londra. La polizia archiviò frettolosamente il caso come suicidio. Nella sua camera da letto venne rinvenuto un vaso di alabastro appartenuto alla famigerata tomba di Tutankhamon, un oggetto prezioso che non compariva nella lista ufficiale dei reperti scoperti. Il vaso dunque doveva essere stato trafugato durante la prima apertura clandestina della cripta …

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    … e rivelava implicitamente che il nobile anziano era stato certamente messo a conoscenza dei retroscena della scoperta direttamente da suo figlio.

    Di uno “strano male” morì anche l’egittologo Arthur Cruttenden Mace , lo studioso che nel 1922 aveva collaborato con Howard Carter al restauro della tomba. Prima di morire Mace era stato molto vicino a Lord Carnarvon, e aveva contribuito alla redazione del volume “The Tomb of Tut.ankh.amon” insieme ad H. Carter. Ma già all’inizio del 1923 Mace cominciò a lamentare un pessimo stato di salute che lo condusse lentamente ma inesorabilmente alla morte, avvenuta il 6 aprile del 1928 .

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    Nel 1929 la “mala sorte” toccò a Lady Almina, la moglie di Lord Carnarvon, e – come già avvenuto a suo tempo per il marito – la causa del decesso venne ufficialmente attribuita ad un infezione.

    Il facoltoso principe egiziano Alì Kemel Fahmy Bey, che si era molto interessato ai segreti della tomba ponendosi come un potenziale acquirente dei tesori trafugati, venne trovato cadavere nel 1929 in circostanze poco chiare. Il delitto avvenne in un albergo di Londra, e la polizia inglese chiuse rapidamente il caso attribuendo l’omicidio alla moglie.

    Anche il fratello del principe musulmano assassinato morì per l’ennesima strana coincidenza di morte violenta. E anche nel suo caso, il decesso venne sbrigativamente archiviato dalla polizia come suicidio.

    L’onorevole Mervyn Herbert , secondo fratellastro di Lord Carnarvon, morì nel 1930 a Roma in circostanze poco chiare.

    Stessa “malasorte” per l’egittologo Arthur Weigallm che aveva collaborato attivamente con Carter, Carnarvorn e il resto della squadra durante i lavori di scavo. Nel 1933 fu colpito da una “febbre sconosciuta”, che lo condusse rapidamente alla morte.

    Nessuno tuttavia ritenne necessario sollecitare un’ inchiesta giudiziaria in proposito, e i giornali dell’epoca preferirono trovare la spiegazione dei misteriosi decessi in una fortuita serie di coincidenze, o addirittura nella diceria secondo cui una terribile “maledizione” del faraone avrebbe fatto strage degli studiosi legati alla scoperta.

    E più la “maledizione” continuava a colpire, più la stampa alimentava una sempre più densa e crescente atmosfera di superstizione, da cui ebbe origine una delle leggende moderne più conosciute al mondo, che ha anche fatto da spunto a numerosi romanzi di successo.

    In seguito, la vicenda venne resa ancora più suggestiva dall’aggiunta di aneddoti impressionanti su alcuni presagi nefasti che si sarebbero verificati il giorno dell’apertura della cripta. Venne ad esempio fatta circolare la voce secondo la quale, al momento dell’uscita dalla tomba dell’ultimo operaio, si sarebbe scatenata una inquietante tempesta di sabbia, proprio davanti al tunnel che conduceva al sepolcro. A questo evento soprannaturale avrebbe poi fatto seguito la comparsa all’orizzonte di un maestoso falco (simbolo dell’autorità regale nell’antico Egitto) diretto verso ovest, il luogo dove gli antichi egizi ritenevano si recassero le anime dei morti.

    Al racconto di tale episodio – di cui non si hanno però riscontri storici – se ne vennero ad aggiungere di sempre più fantastici, che finirono per affollare le pagine dei tabloid di tutto il mondo. Uno degli episodi più inverosimili riguardava proprio la morte di Lord Carnarvon, avvenuta alla una e 55 del mattino: si disse ad esempio che nel preciso istante in cui spirò il nobile britannico si sarebbero spente tutte le luci della città del Cairo. Un presagio nefasto a cui avrebbe fatto seguito anche la morte del suo cane. Alcuni improbabili testimoni raccontarono addirittura che la povera bestiola, prima di morire, stesse ancora ululando di terrore, per avere percepito una entità ostile che la stava tormentando. E man mano che la lista dei morti si allungava, gli organi d’informazione continuavano ad alimentare la leggenda con qualsiasi circostanza “soprannaturale” in grado di avallare la storia della maledizione, secondo la quale Tutankhamon sarebbe riuscito a vendicare la profanazione della tomba reale, uccidendo tutti gli autori del “sacrilegio”.

    Ma qualcosa, nei conti, non tornava. Howard Carter, ovvero il principale responsabile della spedizione. e scopritore effettivo della tomba, restava stranamente immune dalle conseguenze dello “spaventoso flagello”.

    Le reali circostanze in cui perse la vita Carnarvon rimangono tuttavia poco chiare, poiché già molto tempo prima del giorno del decesso il nobile britannico manifestò chiari sintomi di avvelenamento. Il conte infatti, dopo avere contratto la presunta infezione letale, cominciò a soffrire inspiegabilmente anche per la frequente caduta dei denti e del loro continuo sgretolamento, che sono le tipiche conseguenze di avvelenamento da arsenico. Ma, come dimostrarono le indagini chimiche e batteriologiche condotte nella tomba già dal mattino seguente dell’apertura ufficiale, tale sostanza risultò essere del tutto assente dalle camere funerarie di Tutankhamon.

    Anche la morte di Mace, che aveva lavorato molto da vicino agli scopritori della tomba, lascia dei forti dubbi, che appaiono confermati dalla stessa biografia di Mace, pubblicata nel 1992 dallo scrittore Christopher C. Lee . Nell’opera viene riportato il testo di una lettera scritta da Mace il 14 gennaio 1927 al suo vecchio amico A. Lythgoe. Nella missiva Mace rivelava che le sue pessime condizioni di salute derivavano da un misterioso avvelenamento da arsenico. Ma sul modo in cui Mace avrebbe potuto subire tale intossicazione letale, il biografo non è stato in grado di fornirespiegazioni plausibili.

    Un segreto da nascondere



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    Lo scrittore statunitense Arnold C. Brackman, nel suo libro “The search for the gold of Tutankhamon” (1976), si diceva convinto che all’epoca dell’apertura della tomba l’unico reperto archeologico che avrebbe potuto costituire un “grave scandalo politico e religioso” fossero dei documenti storici risalenti all’epoca di Tutankhamon. Brackman suggeriva che grazie ad essi sarebbe stato possibile dimostrare in maniera inequivocabile la stretta relazione tra il primo faraone monoteista della storia, “l’eretico” Akhenaton (probabile padre di Tutankhamon) e Mosè, il legislatore israelita che secondo la tradizione dell’Antico Testamento “condusse il popolo d’Israele fuori dall’Egitto”

    A conferma di tale ipotesi troviamo una importante testimonianza di Lee Keedick , che lo scrittore Thomas Hoving ha riportato testualmente in un suo volume del 1978, “Tutankhamon-the untold story”. Keedick ha raccontato di aver assistito ad una animata discussione tra H. Carter e un alto funzionario inglese, avvenuta nel 1924 all’ambasciata britannica del Cairo [38]. Durante l’acceso scontro Carter minacciò di rivelare pubblicamente “lo scottante contenuto dei documenti che aveva trovato nella tomba”, documenti che – stando a quanto lo stesso Carter affermava – “raccontavano il vero e scandaloso resoconto dell’esodo degli Ebrei dall’Egitto”. Tuttavia, pare che al termine della discussione Carter abbia trovato un accordo vantaggioso per tacere, e di fatto, da allora, dei papiri non si è più saputo nulla.

    I documenti scomparsi



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    L’esistenza di tali reperti venne registrata e catalogata durante la stesura del primo inventario ufficiale, ma fu clamorosamente smentita da Howard Carter – quando già si iniziava a parlarne dappertutto – poco dopo la morte improvvisa di Lord Carnarvon (quella “dovuta alla puntura di zanzara”). Carter spiegò che aveva erroneamente classificato alcuni bendaggi del faraone come papiri, a causa dell’assenza di luce elettrica nella cripta.

    Ma la sua spiegazione era decisamente fragile: se infatti si fosse trattato di una semplice svista nella catalogazione, i membri del suo team se ne sarebbero dovuti accorgere molto presto, visto l’interesse che nel frattempo i preziosi documenti avevano suscitato.

    La palese bugia di Carter ebbe quindi l’effetto opposto a quello desiderato: invece di seppellire per sempre la notizia del ritrovamento, i “papiri scomparsi” di Tutankhamon divennero oggetto di pettegolezzi e speculazioni, che si trasformarono in sospetti veri e propri, quando fu accertato che Carter e Carnarvon avevano più volte rilasciato false dichiarazioni alla stampa.Si seppe inoltre che i due protagonisti del ritrovamento erano entrati furtivamente nei locali della tomba prima dell’ apertura ufficiale, trafugando nell’occasione numerosi oggetti del corredo funebre appartenuto al faraone.

    Una conferma del ritrovamento dei papiri si trova in una lettera che Carnarvon inviò nel novembre del 1922 a un suo amico, l’egittologo Alan H. Gardiner . Nella riservata missiva Lord Carnarvon descriveva dettagliatamente gli oggetti scoperti nella tomba, e fra le altre cose affermava: “c’è una scatola con dentro alcuni papiri”. Tale presenza venne poi confermata da una successiva missiva di Carnarvon a Sir Edgar A. Wallis Budge , il custode delle antichità egizie del British Museum, datata 1 dicembre 1922. Nella lettera Carnarvon affermava di avere trovato nella cripta del faraone alcuni documenti di notevole importanza storica.

    L’esistenza dei papiri era confermata anche da uno dei bollettini ufficiali che partivano quotidianamente da Luxor, durante gli scavi. Nel dispaccio telegrafico inviato da Arthur Merton il 30 novembre 1922, si leggeva: “… una delle scatole trovate nella tomba conteneva dei rotoli papiracei da cui ci si attende di ricavare una grande mole di informazioni storiche”.

    Come noto, nei casi di un importante ritrovamento archeologico, lo scopritore evita di rilasciare dichiarazioni ufficiali fino a quando non a potuto verificare a fondo l’autenticità della propria scoperta.

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    E’ quindi poco credibile che quattro giorni dopo la scoperta nessun membro del team avesse ancora provveduto ad effettuare gli accertamenti. Sappiamo inoltre che Howard Carter non smentì mai le dichiarazioni fatte da Lord Carnarvon, e tanto l’inventario, quanto la prima versione dei fatti, vennero modificati solo dopo la morte di quest’ultimo.
    Secondo alcune fonti, il conte di Carnarvon avrebbe addirittura confermato la scoperta dei papiri in un’intervista rilasciata il 17 dicembre 1922 – quindi 21 giorni dopo la scoperta ufficiale – ad un inviato speciale del Times.

    Ulteriori indizi importanti arrivano dall’egittologo Alan Gardiner, che all’epoca venne avvisato del ritrovamento direttamente da Carnarvon, e pubblicò le proprie opinioni sull’effettivo valore della scoperta sul “Times” del 4 dicembre 1922. Nell’intervista Gardiner dichiarava: “Le mie preferenze mi portano ad essere particolarmente interessato alla scatola dei papiri che è stata ritrovata… D’altra parte, questi documenti potrebbero in qualche modo fare luce sul cambiamento dalla religione degli eretici (cioè i faraoni di El Amarna) verso la precedente religione tradizionale, e ciò sarebbe straordinariamente interessante…”.

    Fonte: altrainformazione.it

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