La leggenda delle Streghe di Benevento

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    La leggenda delle Streghe di Benevento



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    Le ipotesi sulla nascita della leggenda delle streghe, o janàre come qui sono chiamate, sono molte, e probabilmente è stata la combinazione di più elementi a dare a Benevento la fama di "città delle streghe".

    In epoca romana si era diffuso per un breve periodo in città il culto di Iside, dea egizia della luna.
    Questo culto aveva già insiti alcuni elementi inquietanti, a cominciare dal fatto che Iside faceva parte di una sorta di Trimurti: veniva identificata con Ecate, dea degli inferi, e Diana, dea della caccia. Queste divinità avevano forti rapporti con la magia. Il culto di Iside è probabilmente alla base di elementi di paganesimo che perdurarono nei secoli successivi: le caratteristiche di alcune streghe sono ricollegabili a quelle di Ecate, ed inoltre lo stesso nome con cui viene indicata la strega a Benevento, janara, sembra possa derivare da quello di Diana.

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    Pietro Piperno nel suo saggio “Della superstitiosa noce di Benevento” fa risalire le radici della leggenda delle streghe al VII secolo. Sotto il dominio del duca Romualdo era solito svolgersi un rito singolare nei pressi del fiume Sabato che i Longobardi celebravano in onore di Wotan, padre degli dei: veniva appesa, ad un albero sacro, la pelle di un caprone; i guerrieri si guadagnavano il favore del dio correndo freneticamente a cavallo attorno all'albero colpendo la pelle con le lance, con l'intento di strapparne brandelli che poi mangiavano. In questo rituale si può riconoscere la pratica del diasparagmos, il dio sacrificato e fatto a pezzi, che diviene pasto rituale dei fedeli.

    Le riunioni sotto il noce, uno dei tratti salienti della leggenda delle streghe, provengono quindi molto probabilmente da queste usanze longobarde; tuttavia si ritrovano anche nelle pratiche di culto di Artemide.

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    La leggenda vuole che le streghe, indistinguibili dalle altre donne di giorno, di notte si ungessero le ascelle (o il petto) con un unguento e spiccassero il volo pronunciando una frase magica, a cavallo di una scopa di saggina o, secondo altre versioni, in groppa ad un «castrato negro» voltandogli le spalle. Contemporaneamente le streghe diventavano incorporee, spiriti simili al vento: infatti le notti preferite per il volo erano quelle di tempesta. Si credeva inoltre che ci fosse un ponte in particolare dal quale le streghe beneventane erano solite lanciarsi in volo, il quale perciò prese il nome di ponte delle janare.

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    Matteuccia da Todi



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    A partire dal 1273 tornarono a circolare testimonianze di riunioni stregonesche a Benevento. In base alle dichiarazioni di tale Matteuccia da Todi, processata per stregoneria nel 1428, esse si svolgevano sotto un albero di noce e si credette che fosse l'albero abbattuto da San Barbato, forse risorto per opera del demonio. Più tardi, nel XVI secolo, sotto un albero furono rinvenute ossa spolpate di fresco: andava creandosi un'aura di mistero attorno alla faccenda, che diveniva gradualmente più complessa.

    Nelle credenze popolari la leggenda delle streghe sopravvive in parte ancora oggi, arricchendosi di aneddoti e manifestandosi in atteggiamenti superstiziosi e paure di eventi soprannaturali.

    Pietro Piperno - Della superstiziosa noce di Benevento



    …“Unguento unguento, mandame alla noce de Benevento. Supra acqua et supra vento et supra omne maltempo”…



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    Fonte: visitare-benevento.it
     
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