Il druidismo

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    Il druidismo



    “Senza druidi non si sarebbe avuta una società celtica. Ma,
    inversamente, senza società di strutture celtiche, non si sarebbero
    potuti avere i druidi”


    Jean Markale
    Il druidismo: religione e divinità dei Celti



    druido2



    La società celtica era strutturata verticalmente secondo tre funzioni: la sacerdotale, la regale-guerriera e la lavorativa.
    I sacerdoti o druidi erano i tenutari del sapere filosofico, giuridico, metafisico e religioso. Purtroppo di tale sapere non è rimasto molto, dal momento che la loro conoscenza e le tradizioni erano trasmessi da una generazione all’altra esclusivamente con insegnamenti di tipo orale. Perché questo? Lo studioso Jan de Vries sostiene che “una tradizione trasmessa oralmente si rinnova ad ogni generazione: l’antico contenuto si mantiene intatto e allo stesso tempo si adatta continuamente alle mutevoli circostanze. E proprio per questo i druidi poterono mantenere il passo con le loro progressive conoscenze”. Ciò permetteva ai druidi di detenere la quasi totalità dei poteri spirituali e temporali nella società celtica. Questo si intuisce dalle stesse parole di Giulio Cesare:

    “ In tutta la Gallia, si onorano in particolare due classi di uomini,
    giacché la plebe è appena considerata al rango degli schiavi ... Di
    queste due classi, una è quella dei druidi, l’altra è quella degli equites
    (guerrieri). I primi vegliano sulle cose divine, si occupano dei
    sacrifici pubblici e privati, regolamentano ciò che concerne la
    religione. In gran numero i giovani vengono ad istruirsi presso di
    loro, e beneficiano di una grande considerazione. In effetti, sono essi
    a mettere fine a tutte le controversie, pubbliche e private, e quando un
    crimine sia stato commesso, quando vi sia stato un omicidio, quando
    si abbia contestazione al riguardo di una eredità o su questioni di
    confine, sono essi che decidono, che valutano i danni e che
    comminano le pene. Se un individuo o un popolo non accettano la
    loro decisione, essi interdicono loro i sacrifici, castigo che, presso i
    Galli, sembra essere il più grave .... Tutti questi druidi sono
    comandati da un capo unico che esercita su di essi la suprema
    autorità .... I druidi hanno costume di non andare in guerra e di non
    pagare imposte, così come fanno gli altri Galli. Essi sono dispensati
    dal servizio militare e da ogni altro obbligo.”
    (De Bello Gallico, VI, 13)



    Le descrizioni del proconsole romano degli usi e dei costumi dei Celti, sembrano basarsi sulle migliori fonti, dal momento che egli si circondava volentieri dei loro capi tribù e discorreva con tutti coloro che potevano fornirgli informazioni sull’avversario. Cesare inoltre conosceva molto bene il druido della tribù degli Edui, Divizìaco, che aveva fatto suo alleato.

    Cicerone, il quale si vantò di averlo conosciuto e di aver discusso con lui, scrisse:

    “ (Diviziaco) sosteneva di conoscere le leggi della natura, ciò che i
    Greci chiamano fisiologia, e prediceva l’avvenire, sia con vaticini, sia
    con argomentazioni congetturali.”

    (De Divinatione, I, 40)



    Cesare descrive Diviziaco impiegando i termini Sacerdos e Druis (genitivo Druidis, plurale Druides). L’etimologia della parola è stata a lungo controversa. Per molti secoli si è adottata la spiegazione che ne dava Plinio il Vecchio nel suo Historiae Naturalis (XVI, 249). Parlando della venerazione dei druidi per la quercia e per il vischio che su di essa si formava, egli scrisse:

    “ Essi non compiranno alcun rito senza la presenza di un ramo di
    questo albero al punto che sembra possibile che i druidi derivino il
    loro nome dal greco.”



    Se n’era quindi concluso che la parola druido provenisse dal termine greco drus che significa quercia. Però sembrava molto improbabile che il nome dei druidi, parola tipicamente ed esclusivamente celtica, derivasse dal greco. Recentemente dunque è stata data un’altra versione dell’etimologia di questa parola, partendo dalla forma proposta da Giulio Cesare, druis, che corrisponde all’antico gaelico drui e all’antico celtico druwid (plurale druwides), parola che può essere scomposta in dru, prefisso accrescitivo di significato superlativo, e in wid, termine apparentato alla radice indoeuropea del latino videre (vedere) e del greco idein (vedere, sapere). Il significato è dunque chiaro: i druidi sono i “molto veggenti” o i “molto sapienti”, significato che sembra conformarsi perfettamente alle diverse funzioni da loro espletate. I druidi erano quindi “gli uomini del sapere”, coloro che sapevano leggere il grande libro della natura e dei destini, interpretandoli per la guida del proprio popolo. Gli autori greci e latini li definirono talvolta filosofi, altre maghi; ma si parla di loro anche come di poeti, cantori, indovini, medici, teologi, seppure con sfumature linguistiche diverse.



    Riassumendo, i druidi erano i depositari di una tradizione complessa che copriva ogni campo dello scibile: dal diritto alla filosofia, dalla medicina alla teologia, dalla poesia alla musica. Salvo che per certi incantesimi magici, i druidi si rifiutavano di utilizzare la scrittura, per questo, con la romanizzazione dei Celti, tutte queste conoscenze andarono in gran parte perdute. Solo dopo la cristianizzazione dell’Irlanda alcuni druidi, convertiti e divenuti monaci, liberati dal divieto “magico” della scrittura, affidarono ciò che restava della tradizione celtica a dei preziosi manoscritti. In tempi più recenti, sulla base di questi manoscritti, di testi d’epoca classica (greci e romani) e delle leggende (soprattutto irlandesi), si è cercato di estrapolare quelle conoscenze che costituirono i cardini della tradizione celtica e del druidismo.

    Fonte: Edizioni Gennaro & Veneziani
     
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