Un popolo tra storia e leggenda

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    Un popolo tra storia e leggenda



    celti



    “Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam
    incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua
    Celtae, nostra Galli appellantur”.

    “La Gallia nel suo insieme è divisa in tre parti, una abitata dai
    Belgi, un’altra dagli Aquitani, la terza da coloro che nella propria
    lingua si chiamano Celti, nella nostra Galli”.


    Così recitano le parole del “De Bello Gallico” (la guerra di Gallia) scritte da Giulio Cesare intorno all’anno 50 a.c., che costituiscono una delle prime menzioni ufficiali di questo popolo.
    Celti è il nome dato inizialmente dai Greci e dalle altre genti d’Europa a quelle popolazioni originarie della Boemia e della Germania meridionale che nel corso del primo millennio a.C. si diffusero verso ovest, nell’odierna Francia (da loro chiamata Gallia) e nelle isole britanniche, e verso sud stanziandosi in Spagna (Celtìberi), in Italia centrosettentrionale, in Grecia e in Asia Minore dove diedero il nome ad una regione, la Galazia (o Galatia).
    I Romani preferirono chiamarli con il nome di Galli, mentre presso i Greci erano anche conosciuti come Galàtai o Gàlati (vale a dire abitanti della Galazia). Il loro nome originario era Keltòi, Celti.
    Il loro affacciarsi sull’Europa a partire dall’area danubiana tra il 900 e il 700 a.C., e sull’Italia tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C., è rappresentato dagli storici antichi come un’invasione talmente improvvisa ed inarrestabile che la stessa Roma, dopo la sconfitta dei propri eserciti ad opera del condottiero Brenno (390 a.C.), dovette sopportare l’occupazione
    della città e l’assedio del Campidoglio per sette mesi. Unica eccezione allo strapotere celtico di quell’epoca fu rappresentata da una popolazione d’origine pre-indoeuropea: i Liguri. Di questi ultimi si sa che al culmine della loro storia erano stanziati su una vasta fascia di territorio che andava dalla costa atlantica del sud della Francia, lungo il Rodano fino in Italia dove occupavano tutto il Piemonte a sud del Po, le zone montane dell’Appennino tosco-emiliano, oltre alla sottile fascia costiera attorno al golfo di Genova, che ancora oggi porta il loro nome. Sembra che i Liguri fossero generalmente agricoltori di non alta statura ma agili, molto muscolosi e tanto pericolosi in battaglia che perfino i Celti esitarono a scontrarvisi, preferendo piuttosto coabitare pacificamente con loro (si parla in questo caso di Celto-Liguri).
    I Celti sono descritti dai Romani con una singolare commistione di qualità e debolezze, virtù ed ingenuità. Erano noti per l’alta statura, per i lunghi baffi e capelli, per il loro coraggio e per la furia con la quale, a volte quasi completamente nudi, si buttavano nella battaglia senza circospezione, menando colpi alla cieca ma stancandosi anche molto rapidamente; una condotta diametralmente opposta alla fredda e ragionata tattica degli eserciti romani.
    I Celti erano in realtà una costellazione di tribù tenute insieme da una lingua comune, da forme artigianali, strutture militari e credenze religiose sufficientemente unitarie da essere riconosciute. Per tale motivo è più corretto parlare di cultura celtica che di gruppo etnico. Socialmente erano divisi in tribù e villaggi fortificati pressoché autonomi (gli Oppida), comandati da aristocratici, i quali venivano di preferenza costruiti su ripide zone collinari (i cosiddetti Hillfort).

    Tributavano grande onore a cantori, poeti, filosofi, indovini e ai sacerdoti, i Druidi. Caratteristica spiccata della loro religiosità era il culto dei morti, la fede nell’immortalità dell’anima e la credenza in una triade di dei, che influiranno notevolmente nel Cristianesimo di Stato attuato secoli dopo dall’imperatore romano Costantino.
    Aspetto centrale della cultura celtica fu la musica, il canto, la scultura e l’artigianato di manufatti in oro, argento e rame, tra i quali oggetti ornamentali e torques, una sorta di collane rigide che i guerrieri portavano al collo. A differenza della contemporanea arte greco-romana che cercava di rappresentare la realtà, quella celtica fu soprattutto un’arte decorativa dove le forme viventi erano spesso stilizzate ed abbondavano gli elementi simbolici che avevano spesso una funzione magico-religiosa.



    Con l’inizio del III secolo a.C. prese però il via il progetto di Roma di conquistare l’Italia continentale eliminando le popolazioni ivi residenti, inclusi i Celti. Nonostante gli iniziali successi militari dei Celti, la macchina da guerra romana ebbe però lentamente la meglio. Gli ultimi clan che non vollero assoggettarsi ai Romani trovarono rifugio nelle valli alpine dove rimasero per molti decenni, mentre le legioni di Giulio Cesare conquistavano la Gallia ed il Belgio spingendosi fino in Gran Bretagna. Per sopperire alle crescenti necessità delle tribù, durante l’autunno, i Celti scendevano in pianura per fare razzia nelle campagne dei coloni romani. Fu a causa di queste scorrerie che le legioni di Druso, nipote di Cesare, risalirono da ogni passo le valli e le montagne per distruggere uno ad uno i villaggi dei Celti. Molte tribù perciò migrarono, stanziandosi in seguito là dove i Romani non riuscirono ad arrivare, nella Scozia ed in Irlanda occidentale, che rimangono tuttora le eredi della cultura e della storia di questo popolo.

    Fonte: Edizioni Gennaro & Veneziano
     
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