La famosa profezia di Cazotte sulla Rivoluzione francese

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    La famosa profezia di Cazotte sulla Rivoluzione francese



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    La profezia1 che il signor Cazotte fece a Parigi nel corso di un banchetto, costituisce senz’altro un esempio molto singolare di capacità divinatoria assai sviluppata. Su una rivista tedesca piuttosto nota ci si è addirittura permessi di far passare l’intera vicenda per la trovata di uno sfaccendato, senza curarsi affatto di saggiarne la fondatezza. Io, al contrario, posso dimostrare che essa è vera in tutto e per tutto. Ne ho parlato con un signore molto perbene, grande amante della verità e conoscitore diretto di Cazotte, il quale, oltre ad assicurarmi che fu un uomo assai pio e di notevole cultura, mi ha testimoniato che le sue predizioni suggeritegli nel corso di sedute spiritiche si sarebbero poi sempre avverate per filo e per segno.
    Dell’avvenimento in questione è stato rinvenuto il racconto nelle carte postume autografe della buon’anima di La Harpe, che fu membro della Regia Accademia delle Scienze di Parigi, il covo più noto di quanti confezionavano facezie sulla religione e sciocchezze volteriane. E’ quello stesso La Harpe, dapprima ateo e libero pensatore, che, in prossimità della propria fine, si convertì così radicalmente da morire da buon cristiano. Narrerò ora il fatto con le stesse parole di La Harpe, riservandomi poi di aggiungervi alcune osservazioni sulla loro veridicità.
    E’ come se fosse ieri- così scrive- invece è accaduto ai primi del 17882. Eravamo a tavola in casa di uno dei nostri colleghi dell’Accademia, un uomo molto a modo e pieno d’ingegno. La numerosa compagnia comprendeva persone di ogni ceto sociale, gente di corte, magistrati, uomini di cultura, accademici e così via. Ci si era allegramente intrattenuti intorno a una tavola, come al solito, riccamente imbandita. Giunti al dolce, la Malvasia e il vino di Costanza accrebbero l’allegria e allentarono quei freni che neppure in seno alla buona società trattengono spesso la libertà entro i suoi giusti limiti.
    Pur di suscitare nella nobile brigata l’ilarità, si era giunti in quel mondo al punto che era lecito dire qualsiasi cosa. Chamfort ci aveva letto alcuni passi dei suoi racconti osceni e blasfemi. Le dame dell’alta nobiltà vi prestarono attenzione senza nemmeno schermirsi coi ventagli. Ad essi fece seguito un autentico profluvio di facezie sulla religione. Uno citava una tirata dalla Pulcelle3, un altro rammentava quei versi filosofici di Diderot4 in cui si dice: “con le interiora dell’ultimo prete, strangolate l’ultimo re”.Tutti applaudirono. Un altro ancora, alzandosi in piedi, levò in alto il bicchiere colmo ed esclamò: “Sì, miei signori! Sono assolutamente certo che Dio non esiste, così come sono sicuro che Omero era un folle”. Ed era sicuro per davvero di entrambe le cose. A un certo punto, mentre si stava discutendo proprio di Omero e di Dio e alcuni ospiti spezzavano una lancia a favore dell’uno e dell’altro, il discorso si fece più serio. Ci si pronunciò con toni ammirati sulla rivoluzione volteriana e si concordò sul fatto che essa fosse la ragione principale della fama del suo autore. Egli aveva dato durevolmente la propria impronta al suo secolo e talmente copiosa era la sua produzione che lo si leggeva nelle anticamere come nei salotti. Uno degli ospiti ci raccontò con una grande risata come il suo barbiere, mentre lo stava incipriando, gli avesse detto: “Vedete, mio signore, sebbene io non sia che un miserabile garzone di bottega non per questo sono più religioso di chiunque altro”. Sicché si concluse che la rivoluzione sarebbe inevitabilmente divenuta realtà e che superstizione e fanatismo avrebbero senz’altro dovuto far posto alla filosofia. Si calcolò quando tutto ciò sarebbe probabilmente accaduto e chi di quella compagnia avrebbe forse avuto la fortuna di vedere realizzato il regno della Ragione. I più anziani si rammaricarono del fatto di non poter nutrire alcuna speranza al riguardo. I più giovani, invece, si rallegrarono della possibilità che essi avevano di poter assistere di persona alla realizzazione di eventi talmente probabili. E ci si complimentò in particolar modo con l’Accademia, poiché essa aveva preparato la grande impresa e che pertanto doveva essere considerata il principale teatro, il centro propulsore della libertà.

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    Uno solo degli ospiti non aveva preso parte a questa brillante conversazione, limitandosi a inserirvi qua e là a voce bassissima alcune battute di spirito su tutto quel nostro entusiasmo. Costui era il signor Cazotte, uomo amabile e originale, che sfortunatamente aveva un debole per le fantasticherie; uno di coloro che credono nelle illuminazioni che calano dall’alto. Orbene, prese la parola e disse seriamente: “Rallegratevi, signori miei! Sarete tutti testimoni di quella grande, sublime rivoluzione che desiderate tanto. Già lo sapete che mi dedico un poco alle profezie; vi torno dunque a ripetere che la vedrete tutti quanti”.
    “Per affermare ciò non occorre certo una dote profetica”, gli fu risposto.
    “E’ vero”, replicò Cazotte, “ma forse ce ne vuole una ben più grande per ciò che ho ancora da dirvi. Sapete che cosa deriverà da tale rivoluzione (in cui, ovviamente, la ragione trionferà sulla religione rivelata) e che cosa rappresenterà per tutti voi, per molti di quelli che sono qui presenti? Quale sarà la sua conseguenza immediata, il suo effetto incontestabile, ben chiaro a tutti quanti?”.
    “Sentiamo un po’”, disse Condorcet con aria ingenua; “a un filosofo”, continuò, “non dispiace incontrare un profeta”.
    “Voi, signor Condorcet”, aggiunse Cazotte, “renderete l’anima a Dio lungo e disteso a terra, in una segreta, ad opera del veleno che avrete trangugiato per sfuggire ai carnefici; un veleno che la fortuna dei tempi venturi vi costringeranno a portare con Voi”.
    Tutto ciò suscitò all’inizio un gran stupore; ma ben presto ci si ricordò che talvolta il buon Cazotte sognava a occhi aperti, così che tutti scoppiarono in una fragorosa risata.
    “Signor Cazotte”, disse uno degli ospiti, “la favola che ci avete poc’anzi raccontato non è certo divertente quanto il Vostro Diavolo in amore5 (Le diable amoureux è un breve e singolare romanzo scritto da Cazotte). Qual è dunque quel diavolo che vi ha parlato stavolta di carnefici, di veleni e di segrete? E che c’entra poi tutto questo con la filosofia e col regno della Ragione?”.
    “Ebbene, vi dico che c’entra, eccome”, replicò Cazotte. “Sarà, infatti, proprio in nome della filosofia, dell’umanità, della libertà e della ragione che farete questa fine. Non solo: di lì a poco la ragione regnerà incontrastata, tanto che avrà pure i suoi templi; ma vi dirò di più: in tale stagione non vi saranno in tutta la Francia altri templi che quelli”.
    “Una cosa è certa, però”, disse Chamfort con un sorriso beffardo, “in quel genere di templi sicuramente Voi non farete parte del novero dei sacerdoti!”.
    Cazotte ribattè: “Lo spero bene. Ma Voi, signor di Chamfort, che, al contrario, vi figurerete a buon diritto, vi taglierete le vene con ventidue colpi di rasoio. Tuttavia morirete solamente alcuni mesi più tardi”. A questo segno gli astanti si guardarono in faccia e scoppiarono di nuovo in risate.
    Cazotte, dal canto suo, continuò: ”Voi, signor Vicq-d’Azyr, le vene nemmeno ve le taglierete da solo ma ve le farete aprire per ben sei volte nel medesimo giorno, in preda a un attacco di podagra, per maggior sicurezza, e la notte stessa spirerete”.
    “Voi, signor Nicolai, morirete sul patibolo”.

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    “E così pure Voi, signor Bailly; e Voi, signor Malesherbes”.
    “Grazie a Dio!”, esclamò il signor Roucher; “sembra che il signor Cazotte ce l’abbia solo con l’Accademia: ne ha appena fatto una bella strage. Io, grazie al cielo …”.
    “Voi?”, lo interruppe Cazotte. “Ci finirete pure Voi sul patibolo”.
    “Ah! Scommettiamo?”, esclamarono da ogni parte; “ha giurato di sterminare tutti quanti!”.
    E Cazotte: “No, non sono io che l’ha giurato”.
    Gli astanti: “Vorrà dire allora che finiremo sottomessi nientemeno che a Turchi e a Tartari?”.
    E lui: “Niente affatto; vi ho già detto che starete sotto il regno della Filosofia e della Ragione. Quelli cui vi riferite in tal modo, saranno tutti dei filosofi, masticheranno le stesse espressioni di cui vi riempite la bocca già da un’ora, ripeteranno le vostre stesse massime e citeranno, proprio come voi, Diderot e la Pulcelle”.
    Bisbigliarono alcuni: “E’ chiaro che è impazzito!”, dal momento che Cazotte aveva parlato serissimamente. Altri: “Non vi accorgete che sta scherzando?”. “Sì”, disse Chamfort, “ma devo confessare che questa maniera di sorprendere non la trovo affatto divertente, sa troppo di capestro. E quand’è che dovrebbe poi accadere tutto questo?”.
    E Cazotte: “Non saranno trascorsi sei anni che tutto quanto vi ho detto si sarà avverato”.
    “Quanti prodigi!”, dissi io (ovvero La Harpe), “e di me non dite nulla?”.
    “A Voi”, ripsose Cazotte, “succederà un miracolo non meno straordinario: vi farete cristiano”.
    Tutti rumoreggiarono. “Ora sto tranquillo”, esclamò Chamfort. “Se non moriremo prima che La Harpe si faccia cristiano, possiamo dire senz’altro ritenerci immortali”.
    “Noi che apparteniamo al gentil sesso”,disse allora la duchessa di Grammont, “siamo allora proprio fortunate a non aver nulla a che spartire con la rivoluzione. Se però dico nulla, ciò non sta a significare che non vogliamo intrometterci per quel tanto che basta, visto poi che non si usa affatto prendersela con noi e con il nostro sesso”.
    Lui: “Il vostro sesso, mie signore, non vi sarà stavolta di nessun aiuto;per quanto poco vogliate intromettervi, non verrà fatta alcuna eccezione al riguardo vostro”.
    “Ma cosa ci dite mai signor Cazotte! Non ci starete dunque predicando la fine del mondo!”.
    Lei: “In tal caso spero di avere una carrozza foderata di nero”.
    Lui: “No, Madame! Pure con le mani legate dietro alla schiena verranno condotte sulla carretta del boia dame più nobili di Voi”.
    Lei: “Come? Dame più nobili? Le principesse di sangue?”.
    Lui: “Più nobili ancora”.
    In quell’istante si notò chiaramente nell’intera compagnia una certa agitazione e il padrone di casa si fece scuro in viso; ci si cominciava a rendere conto che lo scherzo stava andando troppo oltre.
    Madame de Grammont, per disperdere la nuvolaglia, fece cadere un’ultima battuta e disse divertita nel più scherzoso dei toni: “Vedrete che non mi accorderà neppure il conforto di un padre confessore”.
    Lui: “No, Madame. Non lo daranno né a Voi né a chiunque altro. L’ultimo giustiziato che avrà per pietà un padre confessore …”. E qui si interruppe un istante.
    Lei: “Suvvia! Chi sarà mai quel fortunato mortale al quale verrà concesso un simile privilegio?”.
    Lui: “Sarà l’unico privilegio che ancora gli rimarrà; questi sarà il re di Francia”.
    A questo punto il padrone di casa si alzò di scatto da tavola e con lui tutti gli altri. Si avvicinò al signor Cazotte e gli disse in preda a una grande agitazione: “Mio caro signor Cazotte, questo biasimevole scherzo è durato abbastanza. Voi state andando oltre il segno, sino al punto di mettere nei guai non solo Voi stesso ma anche la compagnia in cui vi trovate!”.
    Cazotte non ribattè affatto e già stava per andarsene, quando Madame de Grammont, tentando di evitare che la cosa venisse presa sul serio, tutta preoccupata di far tornare l’allegria, gli si avvicinò e gli disse: “Ebbene, signor profeta, Voi ci avete predetto il futuro ma non ci avete detto nulla sul destino vostro”.
    Cazotte tacque, chiuse gli occhi e poi disse: “Voi Madame avete letto la storia dell’assedio di Gerusalemme in Giuseppe6?”.
    Lei: “Certamente! E chi non l’ha letta? Ma faccia finta che io non la conosca”.
    Lui: “Suvvia, Madame! Durante quell’assedio un uomo si recò per sette giorni giorni consecutivi sui bastioni che circondavano la città e davanti agli assedianti e agli assediati gridò ogni volta con voce lamentosa: ‘Povera Gerusalemme! Povera Gerusalemme!’. E il settimo giorno: ‘Povera Gerusalemme! Povero me!. In quello stesso istante una gran pietra scagliata dalle catapulte nemiche, lo colpì a morte”.

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    Ciò detto Cazotte fece un inchino e se ne andò. Sin qui il racconto del signor La Harpe.
    Ora si tratta di vedere se tutta questa storia corrisponda a verità o se sia stata semplicemente inventata dopo gli avvenimenti. La piena veridicità della profezia di Cazotte si ha nel fatto che tutte le persone presenti al banchetto hanno perso la vita così come è stato precognizzato in essa. L’ospite cui Cazotte non aveva predetto nulla, con tutta probabilità il duca di Choiseul, fu l’unico a morire di morte naturale. Il buon Cazotte venne invece ghigliottinato.
    Chiedo ora a ogni esperto d’arte che ami però la verità e che sappia distinguere i modelli dalle copie fedeli della natura se questa narrazione possa essere stata inventata o meno, tanto ricca com’è di minuzie e piccole sfumature tali che nessun poeta avrebbe mai saputo escogitarne di eguali e anzi che gli avrebbe senz’altro considerato come superflue. Inoltre a che cosa poteva servire tale invenzione? Certo non avrebbe potuto inventarla un libero pensatore, dal momento che essa sarebbe risultata in contrasto con tutti i suoi principi; essa, infatti, divulga idee di cui egli è nemico e che ritiene le più sciocche tra le superstizioni. Se poi si vuole avallare il fatto che essa sia stata escogitata da un fanatico con l’intento di sorprendere, è la natura stessa del racconto a vanificare tale ipotesi. Tale racconto, infatti, non ha i caratteri di una composizione poetica e inoltre la certezza che il buon La Harpe, membro illustre dell’Accademia di Francia, l’abbia scritto di suo pugno, la si ha nelle sue Oeuvres choisies et posthumes in 4 volumi in 8°, edite a Parigi nel 1806 presso Mignerel.
    Di certo non verrebbe in mente a nessuno che potrebbero essere stati i curatori degli scritti postumi di quest’uomo celebre ad attribuirgli qualcosa del genere, giacché nessuno si attenderebbe tanto da studiosi francesi e parigini. E’ dunque apoditticamente certo che si tratta di un racconto di La Harpe. Non solo: per i suddetti motivi egli non avrebbe potuto comporlo quando era ancora un libero pensatore. Del resto chi conosce quanto profonda sia stata la conversione di questo spirito libero, di questo personaggio illustre, non può certo credere che, trovandosi egli sinceramente contrito, tanto da versare amare lacrime sul suo passato, possa aver commesso l’atto esecrando di inventare di sana pianta qualcosa del genere. Ciò è moralmente impossibile. Non era poi affatto raccomandabile divulgare questo fatto prima della morte di La Harpe, dati i tempi in cui morì e tanto meno lo poterono raccontare i suoi convitati prima della Rivoluzione o durante il suo corso. Al contrario, fu lo stesso La Harpe che, trovandolo, e a pieno diritto, un fatto estremamente importante, lo mise per iscritto e lo ripose nel suo scrittoio in attesa di tempi migliori. Un certo signor de N…., riferendosi alla straordinaria profezia del signor Cazotte, ha fatto pubblicare sui più noti giornali parigini di aver conosciuto molto bene quel rispettabile vegliardo e di averlo sentito spesso pronunciare grandi calamità che si sarebbero dovute abbattere sulla Francia in un momento in cui, oltretutto, il paese viveva ancora in piena sicurezza, senza averne il benché minimo sentore. Cazotte sosteneva che tali eventi futuri gli sarebbero stati rivelati da parte degli spiriti durante alcuni visioni. “Vi voglio raccontare un fatto strano”, continua de N…. , “già di per sé sufficiente ad attribuire al signor Cazotte la fama di profeta. Tutti sanno che la sua grande fedeltà alla monarchia gli causò il 2 settembre 1792 la detenzione all’Abbazia e che venne sottratto agli aguzzini solo grazie all’eroico coraggio della figlia, la quale riuscì a calmare la plebe infuriata con un commovente scena d’amore filiale. Quella stessa plebe che poco tempo prima voleva sgozzarlo ecco che di lì a poco lo portò in trionfo sino a casa. Tutti i suoi amici accorsero per congratularsi con lui del fatto di essere sfuggito alla morte. Il signor D…. che lo andò a trovare dopo quelle terribili giornate di sangue, gli disse: ‘Ora è salvo!’. ‘Credo proprio di no’, rispose Cazotte. ‘Fra tre giorni sarò ghigliottinato’. Il signor D…. replicò: ‘Come è possibile?’. E Cazotte: ‘sì, amico mio; fra tre giorni morirò sul patibolo’. Nel proferire queste parole ebbe un momento di profonda commozione; dopo di che egli aggiunse: ‘Poco prima del vostro arrivi ho visto un gendarme che mi veniva a prendere per ordine di Pétion. Obbligato a seguirlo, sono comparso dinnanzi al sindaco di Parigi che mi ha fatto condurre alla Conciergerie. E da lì sono stato tradotto davanti al Tribunale rivoluzionario. Quindi si renderà ben conto amico mio – ed è ciò che si desume dalla stessa visione del signor Cazotte – che è giunta la mia ora: ne sono tanto sicuro che altro non mi resta se non di sistemare tutti i miei affari. Eccole delle carte che mi stanno molto a cuore e che dovranno essere recapitate a mia moglie. La prego di consegnargliele e di consolarla’.
    Il signor D…. ritenne che tutto questo non fosse altro che follia e lo lasciò con la convinzione che la regione di Cazotte avesse sofferto alla vista di tutti quegli orrori da cui era sfuggito.
    Tornato però il giorno successivo, venne a sapere che un gendarme aveva portato il signor Cazotte alla municipalità. Il signor D …. Corse allora da Pétion, giunto in municipio, fu informato che il suo amico era stato condotto in carcere. Si precipitò là dov’era stato rinchiuso Cazotte ma gli dissero che non avrebbe potuto parlare con lui e che sarebbe stato giudicato dal Tribunale rivoluzionario. Apprese di lì a poco che il suo amico era stato condannato a morte e giustiziato. “Il signor D….”, aggiunse l’autore, “è un uomo che merita piena fiducia. Nel luglio 1806 era ancora in vita. Ha raccontato questa storia a numerose persone e non mi è sembrata cosa di poco conto serbarne il ricordo”. Qui termina l’articolo apparso sui giornali parigini.
    Ho desunto questa storia estremamente curiosa da un piccolo opuscolo stampato a Strasburgo presso Silbermann col titolo: Curiosa profezia sulla terribile Rivoluzione francese, tratta dalle opere postume del signor La Harpe, stampata a parte dal giornale di edificazione cristiana.
    Quando un anno fa mi trovavo a L…., conferii con un barone di W…., uomo assai onesto che ha soggiornato a lungo a Parigi. Gli raccontai questa storia curiosa e lui mi disse di aver conosciuto bene il signor Cazotte, uomo devoto, divenuto famoso per aver previsto molte cose che poi si sarebbero puntualmente avverate.
    Questa storia è perciò sicura e autenticamente certa; e se così stanno le cose, ecco che chiedo a ogni uomo ragionevole e imparziale se esista dai tempi degli apostoli una testimonianza più singolare e più importante sull’esistenza del regno degli spiriti e sull’influsso di quest’ultimo sul mondo visibile. Io non ne conosco un’altra. Vorrei quindi soltanto sapere come il filosofo meccanicista spiegherebbe questo straordinario fenomeno qualora ne fosse convinto. E’ davvero molto strano: appare in cielo una cometa e tutti gli occhi sono puntati su di essa; viene fatto oggetto di studio tutto ciò che l’astronomia predilige come, ad esempio, il movimento di quest’astro e così via. Viene scoperta una nuova peculiarità dell’aria ed ecco che subito tutti i fisici se ne occupano per poterla esaminare a fondo.
    Che scalpore, che curiosità suscita colui che scopre un’erba, un insetto o una pietra, ancora del tutto sconosciuti e non catalogati! Ma non appena si parla di fenomeni che alludono, sia pur solo lontanamente, alle verità della religione cristiana, all’immortalità delle anime dopo la morte, all’esistenza degli angeli e degli spiriti buoni e malvagi e al loro influsso sul mondo sensibile, fenomeni che sono milioni di volte più significativi di tutti i fenomeni naturali del mondo corporeo, ecco che subito ci si libera di essi con toni canzonatori e si grida alla superstizione e la fanatismo. Si inveisce e si impreca contro tutti quelli che indagano e mettono ordine in quest’ambito. E per quanto i risultati delle loro ricerche siano veri e apoditticamente dimostrati, essi vengono affossati come insignificanti e altamente pericolosi, nonché screditati in quanto molto dannosi per la società. E ciò accade tutte le volte che se ne presenta l’occasione. E’ infatti a quegli scritti che annunciano ai miscredenti il rinnegamento del Cristo, a quei volgarissimi romanzi che corrompono lo spirito rendendolo nel contempo preda del demonio, cui si dà libero corso magari col fatto che nessuno se ne cura.
    Cari contemporanei, da dove nasce questo terrificante modo di pensare, questa paurosa avversione per tutto ciò che, anche se soltanto da lontano, può spiegare la nostra condizione dopo la morte? Da dove viene questo accanimento contro Cristo e la sua santissima religione? Sì, accanimento! Anzi non lo si neghi, ci si vergogna addirittura di pronunciare il Suo venerabile nome tra gente onesta. Si parla, al contrario, con piacer, delle chimere dottrinali della teoria greco-romana sugli dèi, da cui si traggono ornamenti per le proprie poesie, chimere di cui è buona educazione il parlarne. Dio mio che strazio! Che assurdità questo Illuminismo così tanto elogiato!
    Per quanto tale sua profezia possa essere importante e persino ispirata dal cielo, non per questo la cara persona di Cazotte deve essere annoverata nella schiera dei profeti biblici veri e propri. Certo fu un uomo devoto e dotato di una capacità divinatoria altamente sviluppata. La sua sensibilità di cristiano fu ciò che gli consentì di venire in contatto sia con spiriti veritieri che mendaci, dai quali apprendeva il corso degli eventi futuri.
    Con questo non voglio dire che Cazotte, durante quella sorta di banchetto di Belsazar7, non sia stato un araldo divino, una specie di mano che ha scritto sul muro a caratteri di fuoco Mene, Tekel e Ufarsin. La Provvidenza si è certo servita di tale strumento per scuotere quei peccatori che sonnecchiano intanto che l’uragano si abbatte sull’albero maestro della nave.
    Solo l’Onniscente sa ciò che ha davvero operato questa voce tonante. Può darsi pure che, di quando in quando, essa abbia indotto molti alla riflessione e chissà che il ricordo della profezia di Cazotte non abbia avuto degli effetti edificanti proprio nei momenti più dolorosi del suo adempimento. Essa è stata con tutta probabilità pure la causa, se non prossima almeno remota, della conversione di La Harpe.
    Se una capacità divinatoria sviluppata possa essere istruita da messaggi provenienti dal mondo degli spiriti solo relativamente a fatti che dovranno accadere in un futuro prossimo e perché sia stata prestabilita una tale disposizione di cose, è difficile spiegare quanto la conoscenza da parte di Cazotte con sei anni di anticipo di tutti i dettagli degli eventi che preconizzò, dal numero di colpi di rasoio a quello dei salassi e così via. Possiamo azzardare una risposta in proposito considerando il fatto che la Rivoluzione francese, l’evento più importante dell’intera storia universale perciò che furono i suoi esiti, fu preparata con diversi anni di anticipo. Da parte mia sono venuto a conoscenza da un diretto testimone che all’epoca del matrimonio di Luigi XVI e Maria Antonietta d’Austria e cioè al tempo in cui fu stipulato a Vienna, già si complottava la rovina della famiglia reale che soltanto quel contratto matrimoniale riuscì a sventare.
    Perciò è assai probabile che coloro che popolano il regno degli spiriti, principalmente angeli e anime buone, sappiano leggere nelle tavole della Provvidenza e conoscano già in anticipo con la massima certezza gli eventi futuri. Tanto si evince da tutti gli autentici messaggi che ci provengono dal regno degli spiriti, giacché è lassù che si predispone ogni accadimento del mondo sensibile. E’ là, infatti, che si tessono le fila delle vicende umane senza che tuttavia il libero arbitrio dell’uomo risulti soggiogato.


    1 E’ bene ricordare che non fu solo Cazotte a predire nei minimi dettagli l’avvento della Rivoluzione e i suoi terribili esiti. Già nel 1775 un grande predicatore francese, Padre Beauregard preconizzò dal pulpito della cattedrale di Notre-Dame la profanazione delle chiese e l’abolizione delle festività da parte di seguaci di un’infame religione pagana che avrebbe sostituito al culto di Dio quella di una “Venere impudica”. Ecco i passi più salienti della profezia: “- Oh, Signore Iddio. Il Tuo tempio sarà saccheggiato e devastato, le Tue feste saranno abolite, il Tuo nome bestemmiato, il Tuo culto proscritto! Che odo, Dio mio! Che vedo! Invece degli inni in Tua lode di cui questo sacro luogo ha sempre risuonato, si canteranno qui profane, licenziose canzoni! E tu, infame dèa del Paganesimo, tu, demoniaca Venere, tu hai l’audacia di entrar qui, usurpare il posto del Dio vivente, sederti sul trono del Santo dei Santi, e ricevere l’empia adorazione dei tuoi degni fedeli?” (cfr. R. Trintzius, Jacques Cazotte ou le XVIIIe siècle inconnu, Paris 1944, pp. 143-144 e H.J. Forman, Le grandi profezie, Città di Castello, 1997, p. 237)
    2 Secondo alcuni cronisti il famoso banchetto avrebbe avuto invece luogo alla fine del 1788 in casa di uno dei personaggi più ricchi e più in vista del regno, ossia del principe de Beauvau, Maresciallo di Francia, membro dell’Accademia.
    3 Si tratta del poema comico-eroico in decasillabi di Voltaire di cui si ebbe una prima edizione nel 1755 e una seconda definitiva in 21 canti nel 1762.
    4 Sono in questione i versi filosofici diderotiani “… Et des boyaux du dernier prêtre/ Serrez le cou du dernier roi … “.
    5 Si tratta del celebre romanzo di Cazotte pubblicato nel 1772.
    6 Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica VI,5.
    7 Jung-Stilling cita l’episodio biblico del banchetto di Baldassàr riportato in Daniele 5, 25.

    Traduzione italiana a cura di Erminio Morenghi tratta dai Quaderni dell’Istituto di lingue e letterature Germaniche dell’Università degli studi di Parma, Sezione Testi, N. 11, pubblicati a Parma nel 1996 presso l’editore Zara.
    Fonte: bibliotecapgnegro.unipr.it
     
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