La fata del Monte Colombera

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    La fata del Monte Colombera



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    C'era una volta a Réchanté una fata, che viveva, con il suo orchetto gobbo, in una delle grotte del vallone.

    La fata era splendente di bellezza, ed aveva i capelli d'oro fino. Un contadino della vallata perdutamente se ne innamorò: non faceva che pensare a lei, e della moglie non gli importava più.

    La fata, lusingata, gli insegnò il sentiero che portava al suo antro, e lì l'attendeva ogni sera, per trascorrer la notte con lui.

    A lungo pianse la sposa abbandonata, nel grande letto vuoto; poi prese a vagare nel buio lungo il torrente di Réchanté, chiamando il marito infedele.

    Il lamentoso grido giunse fino alla grotta, e la fata se ne infastidì. Sciolse il nastro d'oro con cui raccoglieva i capelli, e lo diede all'amante.

    «Porta questa cintura in regalo a tua moglie, per consolarla d'averla lasciata: appena se la sarà legata a vita, tutti i tristi pensieri svaniranno.»

    L'uomo, tornato a casa, diede alla sposa il nastro della fata.

    «Legalo a vita», le raccomandò.

    Ma lei, ben sapendo da chi l'aveva avuto, chiese consiglio a un'anziana comare.

    «Prova prima a passarlo attorno a un tronco», consigliò saggiamente la vecchia.

    La donna legò il nastro d'oro attorno a un annoso castagno: e, sull'istante, l'albero si mise a tremar dalle radici, come scosso da un vento furioso; le foglie s'accartocciarono, staccandosi morte dai rami, ed ampie crepe nerastre spaccarono la scorza.

    Soltanto allora il contadino capì quale fosse l'intento dell'amante.

    «Buon Dio!», esclamò inorridito. «Quella strega voleva farmi uccidere mia moglie!».

    L'abbracciò forte, per farsi perdonare, e non l'abbandonò mai più.

    La fata restò di nuovo sola con suo figlio, nella grotta sul monte Colombéra.

    L'orchetto era gobbo e sbilenco, e il suo volto era pieno di rughe, come una mela vizza a primavera.

    La madre, stanca di vederselo davanti così brutto, mise gli occhi su un bimbo del paese, biondo e grassoccio che era uno splendore. Lo rapì, per tenerlo con sé, e abbandonò sotto un castagno, su un mucchio di foglie, il nanetto sgraziato.

    Lo trovarono, di lì a qualche po', due ragazze che passavano nel bosco; videro che si reggeva a stento sulle gambe malferme e, prese da pietà, lo portarono a casa, gli diedero da mangiare e cercarono di sapere chi fosse. Ma l'orchetto non rispondeva ad alcuna domanda, non c'era verso di fargli aprire bocca.

    «Parlerà, parlerà», disse l'anziana comare. «Cercate in tutte le case quanti gusci d'uovo vi sia dato trovare; allineateli tutt'attorno alla pietra del focolare, e sedete il gobbetto su uno sgabello, davanti al camino acceso.»

    Fecero come la vecchia aveva detto. Ed ecco che l'orchetto, scuotendosi dal suo torpore, gridò nel dialetto di Perloz:

    «Nella mia vita vidi i campi arati
    tre volte già sostituire i pineti;
    già tre volte rinacquero gli abeti
    sopra le verdi distese dei prati:
    ma non conosco questo strano gioco
    di metter tanti gusci attorno a un fuoco».
    L'intero paese assisteva alla scena, ed a quelle parole trasecolarono tutti.

    «Possibile che sia vecchio come dice? Che abbia visto davvero tante cose?», si domandavano l'un l'altro, sbalorditi.

    «Le ha viste, le ha viste!», disse la vecchia comare. «Non può essere che il figlio della fata.»

    «Com'è che l'ha perso nel bosco».

    «Non l'ha perso, ora è chiaro come stanno le cose: l'ha lasciato di proposito, scambiandolo col bambino che ha rubato.»

    Quel bambino, i genitori l'avevano cercato a lungo, disperati, aiutati dalla gente del paese; ma non se n'era trovata alcuna traccia e, per finire, s'era pensato fosse caduto in un burrone.

    «Ma allora, se nostro figlio ora sta con la fata, come potremo portarglielo via?», domandò la madre.

    «Il modo c'è, ascoltatemi bene», decretò la comare. «Prendete l'orchetto, e salite con lui alle grotte. Quando sarete arrivati vicino, bastonate il gobbetto di santa ragione, perché strilli forte e lo senta la fata. Uno di voi tenga d'occhio l'entrata delle caverne, per vedere da quale esce fuori, e, appena lei correrà a difendere il figlio, entri dentro a riprendersi il bambino.»

    «Ma uscirà?»

    «Uscirà, uscirà», assicurò la vecchia. «Ama suo figlio persino lo stregone.»

    Accadde proprio come aveva detto. Sotto i colpi, Forchetto incominciò a piangere e a gridare, e la madre si precipitò in suo aiuto, non sapendo resistere al richiamo.

    Così il bimbo rapito tornò a casa. Ma a Perloz, ormai, la fata del Colombéra li aveva tutti ostili: sicché decise di abbandonare il rifugio del monte, per cercare un paese dove vivere in pace col suo orchetto.

    Addensò in cielo le nubi, e scatenò un temporale. Quando le acque del torrente di Réchanté furono gonfie, vi si sedette sopra con il figlio, lasciandosi trasportare dai flutti, giù giù fino al Lys, e poi verso la Dora.

    A Pont-Saint-Martin i contadini, assiepati sulle rive, attendevano, col terrore negli occhi, l'onda devastatrice della piena.

    Bella ed altera, la fata del Colombéra li guardava, come dall'alto di un trono; guardava il ponte ormai prossimo, a valle.

    «Lo abbatterà, sarà la sua vendetta», dicevano i paesani.

    Ad un tratto una voce si levò sul fragore del torrente:

    «Piega il capo, bellezza! Lasciaci il nostro ponte».

    La fata sorrise alla lode. L'ira le cadde dal cuore: e concesse la grazia. Reclinò la testa, e passò sotto l'arcata, lasciando intatto il ponte.

    Giunta alla Dora, incominciò a cantare.

    Il canto si perse lontano, nel mormorio dei flutti che ormai scorrevano placidi nel piano.

    Link: http://lospecchiomagico.altervista.org/Leg...20Colombera.htm

    Edited by Selene_Moon - 26/6/2014, 20:53
     
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